“La nostra proposta di fermarsi un giorno per discutere di gas ed energia è caduta nel vuoto ma il problema resta. Dobbiamo fermarci e trovare tutti un accordo per uno scostamento di bilancio che non ne presupponga altri più avanti”. Così Carlo Calenda a “Gli
Incontri del Principe” in piazza Maria Luisa a Viareggio dove, intervistato da Stefano Zurlo, ha risposto anche a Giorgia Meloni. “La Meloni non sa come sono fatte le bollette – ha detto il leader di Azione – . Il taglio degli oneri significa mettere soldi pubblici. La ricetta che dobbiamo attuare è dire a tutti che il rigassificatore di Piombino è necessario e che lo scostamento di 30 miliardi ora inderogabile non deve essere seguito da altri che manderanno poi il bilancio dello Stato in tilt. Lo scostamento ora si deve fare perché altrimenti l’industria manifatturiera italiana va a rotoli, ma deve essere l’ultimo”.
Secondo il leader di Azione si fa la stessa campagna elettorale da trent’anni promettendo le stesse cose, parlando di ideologie senza fare nulla di concreto. “Il Paese rischia di andare a gambe all’aria – ha affermato Calenda – . La Bce ci ha protetto come neanche sotto Draghi, però deve tenere uno scudo anti-spread. Lo scudo è vincolato per l’Italia alle riforme del Pnrr. Il problema non è il fascismo ma il fatto che la destra propone misure per 200 miliardi di euro e vuole rinegoziare il Pnrr”. I soldi pubblici vanno usati nella sanità e per l’occupazione: “Se rifiuti i posti di lavoro perdi il reddito di cittadinanza. Dobbiamo applicare
l’agenda del buon senso. Invece di discutere la flat tax facciamo le cose di buon senso. Sulle tasse dobbiamo pagare meno e pagare tutti”.
Zurlo chiede: chi esce da un partito ora va da Calenda. Perché?: “Un sondaggio – risponde il segretario di Azione – oggi ci dà al 7% ma è riduttivo. A Roma alle ultime comunali ci davano il 6% e abbiamo preso il 20%. Lo spartiacque delle mie scelte per me è stato chi ha fatto cadere Draghi e chi lo ha difeso. È stata una legislatura folle, siamo andati dall’italiano più illustre chiedendo di darci una mano. Ha fatto grandi cose ma poi il 21 luglio delle persone che non hanno dato bella prova di loro come Salvini e Conte hanno fatto cadere il governo. Enrico Letta mi disse che era disponibile per fare l’accordo e che la bussola era l’agenda Draghi. Poi mi ha detto che voleva andare con quelli che sono contro Draghi. Tutto questo era impossibile e quindi ho rotto”.
Calenda spiega dopo le elezioni di volere una larga coalizione che sostenga Mario Draghi premier: “Altrimenti faremo un’opposizione costruttiva. Una cosa è certa, mai staremo con i Cinque Stelle. La politica serve per governare e non per far casino. Se ti allei con persone che la pensano al contrario di te è garantito che non fai niente”. E se dopo le elezioni il terzo Polo diventasse decisivo? “Rispondo che c’è solo un governo: quello di Draghi”.
Renzi si è sottomesso a Calenda o viceversa, chiede Stefano Zurlo? “Abbiamo litigato e discusso con Renzi quando eravamo al governo – risponde Calenda – . Lui ha fatto la scelta di sostenere il governo Conte 2 ma poi lo ha fatto cadere. Noi abbiamo avuto una rottura feroce, durissima. Ma siamo convinti che l’Italia si deve giocare la sua credibilità e su questo si è fatto l’accordo con Renzi. Di Maio e i Cinque Stelle invece su temi economici hanno fatto disastri”.
Si può ridurre la pressione fiscale? “L’evasione fiscale – dice Calenda – è stata ridotta ma è finita nel buco nero dei conti pubblici. Questi soldi di recupero di evasione debbono diminuire le aliquote”.
Caso ex Alitalia: “L’avrei venduta a Lufthansa, di corsa. ITA è talmente piccola che non regge la competizione con nessuno. L’alternativa è continuare a spendere a fondo perduto o avere una ITA con la sua peculiarità”. Quanto all’Ilva, “Va rimessa al volo sul mercato. Era la prima acciaieria d’Europa e facevano a gara per averla anche se inquinava. I Cinque Stelle hanno voluto la nazionalizzazione, cacciando un investitore e ora dobbiamo pagare ciclicamente tantissimi soldi pubblici. La sindaca Raggi a Roma aveva preso il 70% e mi dissero che l’avevano votata perché erano arrabbiati ma hanno consegnato la capitale una persona improponibile. Io sono stato manager privato in grandi aziende ma quando sono stato al governo pensavo che avrei avuto difficoltà ed ero molto umile mentre personaggi come Di Maio hanno avuto l’arroganza di chiedere più ministeri senza avere una preparazione minima”. Ma ora la situazione a Roma com’è? “Ci voleva un piano industriale su dove intervenire. A Roma c’è un fortissimo sistema di potere del Pd alimentato da intrecci giganteschi. A Roma come al governo dobbiamo gestire. Noi non proporremo per il governo chi non ha competenze”.
Non si parla più di spending review. Perché? “Bisogna andare nei processi gestionali e renderli più efficienti, cambiandoli uno ad uno. Non usare il taglio lineare. Ma è un lavoro veramente manageriale, per intendersi quello che fatto Marchionne alla Fiat. Questa è la spending review, scegliendo manager giusti che sa gestire ogni processo facendolo funzionare. Non si risolve questo problema applicando dei bonus. In mezzo al Covid hanno scelto il bonus monopattino ed è stato assurdo. Il superbonus per la casa è il simbolo dell’immoralità, con truffe di miliardi di euro. E invece non si garantiscono i soldi per la sanità. I soldi dei bonus sono nostri”.
Infine il capitolo salario minimo: “Sono a favore, 5 euro all’ora è una cosa abominevole. Dimezziamo il reddito di cittadinanza – dice Calenda – e il lavoro deve essere pagato 9 euro l’ora per garantire la dignità”.
Ora lei è con Renzi, Carfagna e Gelmini. È curioso? “Non penso. I moderati devono lavorare insieme. La porta da noi per Cottarelli è sempre aperta anche se ha fatto una scelta diversa. Non si può avere un’immigrazione incontrollata che pagano i più deboli. Con Mario Draghi c’era la consapevolezza di lavorare tutti insieme per l’Italia riappacificando il Paese facendone una nazione colta che è nata col Risorgimento e non un popolo ignorante. Io voglio un Paese così e lotterò per questo”.