Il Long Covid si sta delineando come una malattia cronica. Colpisce 43 persone ogni mille guariti, che diventano 54 persone ogni mille guariti tra i pazienti ricoverati in ospedale durante la fase più acuta della malattia.
Le donne hanno un rischio maggiore di esserne colpite, sia tra i soggetti che in fase acuta sono stati ospedalizzati, sia in quelli trattati a domicilio. Rispetto ai maschi, nei soggetti di sesso femminile sono più frequenti difficoltà respiratoria, difficoltà di concentrazione, affaticamento, con un più severo impatto sulle attività della vita quotidiana ed una peggiore qualità di vita percepita.
Al convegno “Long Covid: una pandemia parallela?“, che si è svolto a fine ottobre a Volterra, medici e specialisti delle professioni sanitarie sono partiti da queste evidenze scientifiche per inquadrare a tutto tondo una sindrome sulla quale molto rimane ancora da comprendere. Letture, comunicazioni, tavole rotonde e gruppi di lavoro a tema, hanno permesso di confrontare tra di loro le esperienze dei vari centri che studiano ed analizzano il Long Covid per definire gli aspetti più importanti nella sua gestione sanitaria e clinica.
“Secondo i dati raccolti nella rete dei centri Long Covid della nostra ASL – spiega Guido Vagheggini, responsabile scientifico dell’evento e referente pneumologo per l’insufficienza respiratoria cronica del Dipartimento di Medicina specialistica dell’Azienda USL Toscana Nord Ovest – oltre un terzo dei soggetti valutati dopo tre mesi dal Covid riportava sintomi di stress post-traumatico, ansietà e sintomi depressivi”.
“Ormai è noto che il Long Covid è una sindrome ad andamento subdolo – continua Vagheggini – e che si manifesta con affaticamento, debolezza muscolare, difficoltà respiratorie, disturbi della memoria e della concentrazione, ed un insieme di sintomi diversi, ancora non completamente conosciuti e studiati. Porta con sé anche un rischio maggiore di problematiche cardiovascolari (aritmie, miocarditi), fibrosi polmonare, disturbi endocrini (per esempio tiroiditi) e danni neurologici, con deficit motori e cognitivi. Insomma, siamo di fronte ad una malattia cronica, caratterizzata da sintomi multisistemici che persistono per settimane o anni dopo l’infezione acuta”.
Il migliore approccio per valutare e trattare questa condizione clinica può variare tra un paziente e l’altro, per cui serve una valutazione multidisciplinare, che comprenda oltre ai parametri medici, anche gli aspetti neuropsicologici, emozionali e cognitivi, e la possibilità di inserimento in percorsi riabilitativi. Per questo motivo il convegno volterrano ha ospitato gli interventi di molti relatori di diverse discipline mediche, tra cui Roberto Andreini (direttore del Dipartimento Specialità mediche), Spartaco Sani (direttore dell’Area Malattie infettive), Daniela Boccalatte (Responsabile anestesia e rianimazione dell’ospedale di Lucca), Carlo Rossi (neurologia all’ospedale di Pontedera), Anna Zito (responsabile della riabilitazione respiratoria della Auxilium Vitae di Volterra), Stefania Tocchini (psicologia Asl), Laura Carrozzi (ordinario di pneumologia dell’Azienda ospedaliera universitaria pisana), Paolo Francesconi (dell’Agenzia regionale sanità), Riccardo Cecchetti (responsabile medicina dell’ospedale di Portoferraio), Emilio Pasanisi (responsabile cardiologia dell’ospedale di Livorno) e molti altri professionisti che hanno portato le migliori esperienze dell’AUSL Toscana nord ovest in questo campo.
Il convegno di Volterra ha affrontato anche il tema dell’infezione da Covid nei soggetti immunocopromessi, gli effetti sui polmoni e sul sistema respiratorio, gli effetti sul sistema nervoso (che comprendono ‘brain fog’, cefalea, deficit cognitivi, disturbi del sonno e dell’umore, mialgie, deficit sensorio-motori e disautonomie) e gli effetti sul sistema cardio-vascolare (che comprendono miocarditi e ischemie).
“Il quadro così delineato può essere affrontato solo con un’attenta analisi e una strategia di risposta che sia a livello nazionale, considerata l’estensione che il Covid ha avuto in Italia e nel mondo – conclude Vagheggini – e per questo motivo la rete di centri Long Covid della nostra ASL è stata inserita nel progetto dell’Istituto Superiore di Sanità per il monitoraggio delle dimensioni e la gestione clinica del problema”.