172 esperti, sanitari, umanisti, economisti, esperti di economia e organizzazione dei servizi nazionali, docenti universitari di comunicazione, antropologi e filosofi hanno preso parte venerdì scorso all’incontro online del Forum di medicina narrativa organizzato dalla Società Italiana di Medicina Narrativa (SIMeN). L’evento è stato moderato da Paolo Trenta e Sergio Ardis del direttivo SIMeN.
La parte centrale dell’incontro è stata utilizzata per rispondere alla domanda che è stata posta, in più occasioni, dalla presidente della SIMeN, Stefania Polvani: “A chi serve la medicina narrativa?”. “Si è quindi cercato di capire chi trae vantaggio dalla medicina narrativa e chi ne sono gli ultimi destinatari – riferisce l’associazione in una nota – . La risposta è arrivata dai vari interventi della giornata, che hanno condiviso esperienze concrete di questa pratica, insieme alle evidenze dei risultati che si ottengono sui pazienti”.
La medicina narrativa ha trovato applicazione già da anni nelle malattie reumatiche, come ha ricordato Andrea Tomasini, il quale ha riportato i risultati di uno studio basato su focus group che hanno coinvolto pazienti. Le testimonianze di questi ultimi hanno consentito di apprendere senso e significati dell’esperienza di malattia delle persone e su questa base di ridefinire organizzazione e identità dell’associazione di pazienti portatori di malattie reumatiche secondo un modello nuovo che è riassunto dallo slogan “non pazienti ma persone”. Sono stati inoltre costruiti corsi di formazione per “paziente esperto” e sono stati così forniti alle persone strumenti per interagire positivamente con i decisori e i politici che si occupano di salute. “La continua attività di raccolta di storie di malattia e di cura dal 2007 a oggi – ha concluso Tomasini – costituisce un patrimonio in termini di comprensione delle esperienze di malattia e di orizzonte di aspettative rispetto a cura, terapia e farmaci che da un lato documenta le malattie reumatologiche come un testo collettivo, dall’altro funge da bussola e radicamento solido delle progettualità che l’associazione propone”.
Alcune malattie reumatiche sono anche malattie rare. Tra queste la sclerodermia, di cui ha parlato Mirella Pasquini, del Gruppo Italiano Lotta alla Sclerodermia, che con la sua relazione ha enfatizzato il ruolo della medicina narrativa nelle malattie reumatiche: “Quando si riceve una diagnosi di patologia reumatica – si legge in una nota dell’associazione – , in genere in maniera tardiva rispetto al suo inizio, nell’esistenza del soggetto si verifica una rottura: cambia la vita è spesso cambia anche il corpo. Non di rado i pazienti durante la visita non riescono a fare domande o chiedere consigli al medico e finiscono per ricorrere al web. La medicina narrativa può invece facilitare il medico nel suo ruolo educativo per consentire al paziente di poter affrontare con serenità la malattia, qualcosa di inconcepibile e inspiegabile ma anche immodificabile, con cui imparare a convivere”.
Barbara Hugonin, medico pediatra che si occupa di malattie rare, nel suo intervento ha sottolineato il fatto che “chi vive questa condizione ha difficoltà a far capire agli altri il suo vissuto e la malattia rara di cui è portatore genera stigmatizzazione. Il paziente – prosegue la nota – diventa la sua malattia e con essa è identificato. La medicina narrativa ascoltando le storie dei pazienti fa emergere la loro difficoltà a raccontare il proprio vissuto. Per ottenere questo risultato è richiesto un ascolto empatico della storia di malattia del singolo paziente. Il coinvolgimento del soggetto affetto da malattia rara consente di costruire un percorso di cura personalizzato e più efficace”. Dello stesso argomento ha parlato Domenica Taruscio, direttore del Centro Nazionale Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità, che ha evidenziato come anche queste patologie siano spesso caratterizzate da un ritardo diagnostico. Ha poi parlato del progetto “Scienza partecipata” che vuole favorire la diffusione di scoperte e invenzioni dei singoli ed ha presentato casi specifici di innovazioni grazie alle quali i soggetti portatori di malattia rara sono riusciti a venire a capo di concrete problematiche di vita quotidiana.
Daniela Zuffetti ha presentato un progetto di medicina narrativa nelle cure palliative, “una situazione complessa e delicata in cui i pazienti possono essere davvero aiutati a vivere con maggiore serenità la parte terminale della loro esistenza. Un’indagine condotta nella struttura in cui opera la Zuffetti – sottolinea la nota – conferma infatti che la medicina narrativa ha permesso di ridurre sia il dolore fisico sia quello psicologico dei pazienti. Anche l’ansia, che è un sintomo molto frequente in cure palliative, si è ridotto in più del 60% dei pazienti mentre l’83% degli utenti si è sentito più supportato nel percorso di cura”.
Ma la medicina narrativa è stata utile anche per comprendere i vissuti delle persone a cui sono stati impiantati dispositivi elettronici. Cinzia Pozzi, giornalista scientifica, ha riportato i vissuti narrati dai pazienti portatori di dispositivi medici come pacemaker cardiaci o elettrostimolatori che servono per controllare il dolore non altrimenti trattabile. “Dall’indagine che la giornalista ha condotto sui vissuti di persone ‘bioniche’ – riferisce la nota – è emerso che si tratta di pazienti molto attivi nella loro cura ma che subiscono anche un impatto psicologico assai rilevante”.
“Nel forum online – sottolinea la nota – è inoltre emerso come la medicina narrativa sia estremamente utile anche per i sanitari. Medici, infermieri e operatori socio-sanitari in genere ricevono infatti benefici dalla medicina narrativa, come ha dimostrato nella sua relazione Elisa Mazzariol, infermiera friuliana che ha presentato un’interessante ricerca scientifica di revisione di letteratura per identificare gli effetti sullo stesso curante che usa le metodologie narrative”.
“Gli studi inclusi nella ricerca – conclude la nota degli organizzatori del forum – hanno dunque messo in rilievo gli effetti positivi di questa pratica sui sanitari. La capacità riflessiva, tecnica particolare della medicina narrativa, si è ad esempio dimostrata efficace nella prevenzione del burnout, una condizione di sofferenza dei sanitari che sono sottoposti a loro volta, cronicamente, alle sofferenze dei pazienti e che rischiano un esaurimento emotivo. La medicina narrativa è risultata utile per aumentare il benessere dei sanitari soprattutto in epoca covid. Da qui la necessità, condivisa da molti partecipanti all’evento, che percorsi di questo tipo vengano sviluppati e incrementati nei corsi universitari perché i giovani studenti, prima ancora della laurea, sono a forte rischio dal punto di vista dal punto di vista della tenuta psicologica ed emotiva. Sergio Ardis, docente di comunicazione e autore di vari libri sull’argomento, ha infine commentato che il vantaggio più grande che ricevono i sanitari dalle storie dei pazienti è che riescono con queste ad aumentare la loro empatia e quindi a diventare medici efficaci nella cura della persona e non dell’organo malato”.
L’associazione
La SIMeN è nata nel 2009 con l’obiettivo di promuovere il dibattito e la ricerca scientifica e di fare formazione sulla medicina narrativa. “Le competenze narrative del medico – spiega l’associazione – , così come le abilità relazionali e comunicative, non si basano infatti sulle doti naturali o sul talento personale ma è essenziale per il professionista, anche su queste tematiche, una formazione specifica e continua. Le competenze narrative sono costituite da un mix di capacità testuali, che permettono di comprendere e interpretare le narrazioni del paziente, di capacità creative, che consentono di costruire una nuova narrazione insieme al paziente, e di capacità affettive, che aprono alla relazione empatica e prevengono situazioni di burnout”.
“Con il termine di medicina narrativa (mutuato dall’inglese narrative medicine) – prosegue l’associazione – si intende una metodologia d’intervento clinico-assistenziale basata su una specifica competenza comunicativa. La narrazione è lo strumento fondamentale per acquisire, comprendere e integrare i diversi punti di vista di quanti intervengono nella malattia e nel processo di cura. Il fine è la costruzione condivisa di un percorso di cura personalizzato (storia di cura). La medicina narrativa (NBM) si integra con l’evidence-based medicine (EBM) e, tenendo conto della pluralità delle prospettive, rende le decisioni clinico-assistenziali più complete, personalizzate, efficaci e appropriate. La narrazione del paziente e di chi se ne prende cura è un elemento imprescindibile della medicina contemporanea, fondata sulla partecipazione attiva dei soggetti coinvolti nelle scelte. Le persone, attraverso le loro storie, diventano così protagoniste del processo di cura”.