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venerdì, Novembre 22, 2024

Curiosità economiche su Firenze. Nuovi studi sulle origini dello sviluppo della città nel Rinascimento

Riceviamo e pubblichiamo in anteprima un articolo del banchiere Divo Gronchi che sarà pubblicato sul prossimo numero di “Leasing Time Magazine”, il mensile di economia e finanza diretto da Gianfranco Antognoli.

Eric Reinert, in un testo recente in Italia, affronta l’interrogativo del motivo per cui varie teorie economiche applicate in contesti strutturalmente diversi, abbiano contribuito ad arricchire pochi paesi ed altri a rimanere poveri.

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Il primo economista a produrre un documento elaborato sulla teoria dello sviluppo economico diseguale è stato Antonio Serra, napoletano, nel 1613. Cercò di spiegare perché Napoli fosse rimasta povera nonostante abbondanti risorse naturali, mentre Venezia, costruita su una laguna, fosse al centro dell’economia mondiale. Secondo Serra, le chiavi del successo dello sviluppo economico erano:

  • il gran numero di attività produttive soggette alla riduzione dei costi unitari di produzione e quindi a rendimenti crescenti delle attività urbane – oggi diremmo economie di scala – cosa che non avveniva con l’agricoltura o con l’estrazione di materie prime;
  • la grande divisione del lavoro, massimizzando il numero delle professioni e la politica di governo illuminata.

Queste tre caratteristiche distinguevano le poche città-Stato ricche dalla povertà circostante. Per inciso Serra per le sue idee presentate al Viceré di Napoli, fu ridicolizzato e rimandato in carcere. Ciò nonostante le sue tesi furono riprese nel 1750 dal primo professore di economia in Germania.

Il banchiere Divo Gronchi

La prosperità di Venezia (e dell’Olanda) si basava sul potere di mercato in attività economiche assenti negli stati più poveri; sulla produzione di beni, con il virtuale monopolio di una importante materia prima (il sale per Venezia ed il pesce per l’Olanda, specie dopo l’invenzione dell’aringa salata e in salamoia) e sul redditizio commercio estero. Nel Rinascimento le città italiane più floride erano, oltre Venezia, Genova, Pisa, Amalfi e Firenze. Tutte costiere con importanti porti per i fruttuosi commerci marini ad eccezione di Firenze, pur ritenuta la principale entità europea, che aveva beneficiato come e più delle altre dello sviluppo economico a partire dal 1300.

Secondo Reinert, aveva inciso il fatto che ai grandi proprietari terrieri era stato impedito per secoli di esercitare qualsiasi potere politico, come nelle comunità costiere, per cui gli interessi di artigiani, produttori e commercianti dominavano la vita della città.

I proprietari terrieri costituivano perciò una minaccia continua per i fiorentini in quanto potenziali alleati dei nemici dello Stato; per questo erano vigilati. Per evitare poi le speculazioni e scongiurare le carenze alimentari, Firenze vietò il trasporto di derrate fuori dai confini. Il potere economico ed il mecenatismo delle grandi famiglie facilitarono la creazione ed il fiorire delle arti, caratteristica estranea alle comunità feudali.

Reinert sottolinea questo legame cruciale tra la struttura politica e la struttura economica, tra la democrazia ed una economia diversificata, lontana dall’agricoltura e dall’estrazione delle materie prime, come una lezione storica fondamentale.

Il modello economico, non sempre quello sociale, dell’Olanda, di Venezia e Firenze, fu studiato e seguito da Inghilterra, Francia e Germania (stati-nazione). I mercati più vasti, la maggiore produzione di beni – con le conseguenti maggiori economie di scala – determinarono il declino inesorabile delle città-stato. Era chiaro che la maggior parte della ricchezza si trovasse nelle città che erano la casa dei cittadini liberi mentre nelle campagne le persone erano di solito servi della gleba. Era il tempo in cui si affermava: se vuoi stimare la ricchezza di una città conta il numero delle professioni che si trovano all’interno delle mura.

La ricchezza cittadina fu percepita come il risultato di sinergie fra le diverse professioni della comunità. Brunetto Latini descrisse queste sinergie come bene comune. Di fatto una concezione sociale della ricchezza vista come fenomeno collettivo; nondimeno il Rinascimento scoprì e valorizzò la creatività dell’individuo. Questa prospettiva – il bene comune ed il ruolo dell’individuo – costituirono la visione rinascimentale della società e le ragioni di una crescita economica dell’Europa continentale che, con modalità e velocità diverse, continuò fino alla Seconda guerra mondiale.

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