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giovedì, Novembre 21, 2024

PMI, un piano di crescita: uscire dal “piccolo e bello” per assumere uno spessore che sostenga nuovi investimenti

Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Alberto Bruschini (Value+ S.r.l.) pubblicato sull’ultimo numero di “Leasing Time Magazine”, il mensile di economia e finanza diretto da Gianfranco Antognoli.

Nelle considerazioni finali del Governatore della Banca d’Italia si sostiene che “L’economia italiana potrà conseguir ritmi di sviluppo sostenuti se saprà imprimere una decisa accelerazione della produttività”.

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Sulla  stessa  impostazione si  era pronunciato il Presidente Orsini di Confindustria in un intervista al Sole 24 Ore il 28 maggio mettendo “l’industria al centro del recupero della produttività attraverso una politica industriale pluriennale.”

La visione del Governatore della Banca d’Italia e quella del Presidente della Confindustria, tuttavia,  non ci paiono esaustive per  riavviare un circuito economico tale da consentire una crescita del Pil fondata sul miglioramento stabile della produttività, anche per riallineare le retribuzioni di chi lavora. 

La questione ci pare più complessa. Il nostro apparato produttivo, infatti, non è costituito  da una  prevalenza di grandi imprese, ma da un consistente numero di medie imprese leader e  da una robusta  presenza di piccole e medie imprese che occupa più di 4,5 milioni di addetti.

Qualora l’organizzazione produttiva rimanesse così com’è, sarà molto difficile che il sistema industriale possa essere in grado di affrontare gli investimenti indispensabili per  elevare la produttività complessiva del paese.

La grande trasformazioni dell’economia  derivante dalla transizione green, dalla digitalizzazione e dall’intelligenza artificiale non  potrà essere oggetto di  massicci investimenti da parte delle PMI  se i distretti industriali, le filiere produttivi e le reti di impresa non affronteranno una qualificata riorganizzazione.

Occorre che il governo,  le associazioni industriali, il sistema bancario e i  gestori del risparmio privato entrino nell’ordine di idee di elaborare un piano industriale concordato  per le piccole e medie imprese che le faccia uscire dal “piccolo e bello” per assumere uno spessore dimensionale adeguato, capace di sostenere   i nuovi investimenti.

L’aumento della capacità produttiva del sistema economico, però,   non si esaurisce solo con il balzo qualitativo delle PMI. Occorre che anche le medie imprese crescano  di dimensione in modo che  l’Italia possa  contare su dei grandi gruppi che abbiano la capacità di spaziare  a 360 gradi nella competizione globale sulle nuove attività.

Un  programma che non può essere avulso da quello che l’Unione Europea si appresterà a fare dopo le elezioni anche alla luce delle indicazioni fornite nel messaggio al Parlamento Europeo da Mario Draghi e da Enrico Letta, all’uopo incaricati dalla Presidente della Commissione Ursula von der Leyen.

Tale programma, che richiede una massiccia  attivazione  di risorse finanziarie e di adeguatistrumenti finanziari nazionali ed europei,non può prescindere da un ruolo propositivo  degli intermediari finanziari.

In questa fase, purtroppo, si assiste  ad un’evoluzione  dell’ordinamento  costitutivo delle maggiori banche  che non ci pare sviluppi una configurazione della gestione creditizia capace di accompagnare  la riorganizzazione strutturale  delle PMI.

La questione non riguarda tanto le campagne  promozionali diffuse a più riprese da queste  banche per la messa a disposizione di consistenti masse finanziarie per sostenere gli investimenti delle imprese. Riguarda, invece, il modello operativo che stanno adottando.

Nell’attualità il rapporto delle banche  con la clientela si fonda sulla standardizzazione dei processi gestionali. L’informatizzazione  delle procedure e le conference call sono diventate il perno asettico  della relazione banca-impresa.

La crescente chiusura di filiali e l’accentramento della funzione creditizia nei centri impresa  non contribuiscono a creare una relazione personalizzata con le piccole e medie imprese.  Il loro salto dimensionale, infatti,  da perseguire attraverso aggregazioni, accorpamenti e/o acquisizioni, richiede  la partecipazione attiva degli intermediari finanziari.

La relazione banca cliente in atto muta la visione che fino a pochi anni fa avevano avuto i piccoli imprenditori. Il cambiamento necessario comporta che le imprese, come all’epoca del miracolo economico e anni seguenti, si  sentano spalleggiate nelle loro decisioni dalla banca fatta persona.

Non si tratta di ricostituire la banca di prossimità, ma per  far si che questa profonda trasformazione  processo possa avere la possibilità di concretizzarsi occorre che le banche tornino ad assolvere la funzione della banca di prossimità.

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