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venerdì, Novembre 22, 2024

La Malattia di Parkinson: casi in aumento. Quali sono le cause, come si manifesta e cosa fare per prevenirla

Riceviamo e pubblichiamo un articolo del neurologo dottor Paolo Del Dotto pubblicato nel nuovo numero di “Amici del Cervello News”, il periodico dell’associazione per la ricerca neurologica ARNo presieduta da Gianfranco Antognoli. L’autore si è specializzato presso la Clinica Neurologica dell’Università di Pisa. Ha trascorso 3 anni (dal 1995 al 1998) presso i National Institutes of Health di Bethesda (USA) come Research Fellow. Dirigente Medico presso la UOC Neurologia del Versilia, dal 2014 ne è Direttore. Ha partecipato a numerosi congressi internazionali, ed è autore di circa 70 pubblicazioni. Inoltre è coordinatore della sezione toscana della Società Italiana di Neurologia, Neuroradiologia e Neurochirurgia Ospedaliera.

La malattia di Parkinson è la seconda più frequente malattia degenerativa del cervello, dopo la demenza di Alzheimer. Si stima che in Italia ne soffrono circa 150.000 individui ed in Toscana circa 5 su 1000 abitanti, cioè 18.000 persone. Il numero di nuovi casi sembra in aumento e questo fa sospettare l’intervento di fattori ambientali tossici nella sua insorgenza; tuttavia le cause del Parkinson rimangono ignote.

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Esordisce intorno ai 65 anni di età, ma non è soltanto una malattia degli anziani; può infatti interessare anche individui giovani (sotto i 50 anni). In questo caso si tratta in genere di forme geneticamente determinate e trasmissibili che riguardano un paziente su 10 (in alcune aree geografiche fino a 1 paziente su 3).

Si conoscono circa 15 geni implicati nelle forme ereditarie di Parkinson giovanile. Sia nella forma classica che nelle forme geneticamente determinate, vengono colpite principalmente le cellule cerebrali (neuroni) che producono dopamina, un trasmettitore chimico che comunemente si associa al piacere, ma che è importante anche nella organizzazione dei programmi di movimento e nell’armonizzare tra loro le funzioni motorie, affettive e cognitive. Non è un caso che i pazienti affetti da Malattia di Parkinson oltre alle difficoltà di movimento spesso hanno anche disturbi del tono dell’umore e in fase avanzata anche disturbi cognitivi.

Questi neuroni si riempiono di una forma anomala di una proteina normalmente presente al loro interno e che si chiama alfa-sinucleina che accumulandosi progressivamente, forma grovigli di filamenti proteici che finiscono per soffocare la cellula.

L’esordio della malattia di Parkinson può essere preceduto da una serie di sintomi che possono anche presentarsi fino a 5-10 anni prima; si tratta ad esempio di alterazione dell’olfatto (i pazienti non percepiscono più gli odori), stipsi, depressione, disturbi del sonno (insonnia, sogni agitati). Si ammalano più i maschi delle femmine ma non sappiamo perché; nelle donne spesso la malattia è più grave e si complica più facilmente.

I sintomi classici sono rappresentati da lentezza dei movimenti, rigidità degli arti e del tronco, tremore che si manifesta tipicamente quando gli arti sono in posizione di riposo, difficoltà di equilibrio e di deambulazione. È necessario che siano presenti almeno due di questi sintomi per poter diagnosticare la malattia. Il tremore non è sempre presente. Tuttavia nel corso della malattia, che come tutte le forme degenerative ha un andamento progressivo, si presentano sintomi non motori tra loro variamente associati che rendono il Parkinson una malattia di grande complessità con la conseguente necessità di coinvolgere nel percorso terapeutico-assistenziale oltre al neurologo, anche altri specialisti. Non è raro che la malattia venga diagnosticata in ritardo perché non abbiamo test di laboratorio o esami di neuroimmagini che ci permettono la certezza della diagnosi.

Per quanto riguarda la terapia della malattia di Parkinson possiamo contare su un sufficiente numero di farmaci che contrastano efficacemente i sintomi della malattia e che consentono ai pazienti di condurre una vita autonoma per molti anni. Se correttamente utilizzati essi consentono al paziente di avere un’aspettativa di vita non diversa dai pazienti non affetti, come dire che di Parkinson non si muore. Si tratta di sostanze come la L-dopa o i dopamino-agonisti, per citare quelle più frequentemente utilizzate, che riproducono nel cervello gli effetti della dopamina mancante. Nelle fasi più avanzate si può ricorrere a terapie complesse anche di tipo chirurgico. In queste fasi i pazienti possono trarre giovamento anche dalla somministrazione continua per molte ore al giorno di L-dopa o dopaminoagonisti per via sottocutanea o per via intraduodenale mediante micropompe infusive portatili.

Il dottor Paolo Del Dotto, direttore della struttura di Neurologia dell’ospedale Versilia

Ma la domanda che più frequentemente viene posta dai pazienti al momento della diagnosi è se esistono farmaci in grado di rallentare il decorso della malattia. Purtroppo ad oggi nessun farmaco tra quelli che negli ultimi 15-20 anni sono stati studiati ha dimostrato con certezza di esercitare un tale effetto. Tuttavia le sperimentazioni proseguono e buone prospettive vengono da farmaci che agiscono riducendo la formazione dell’alfa-sinucleina.

Per chiudere con una nota positiva questa breve panoramica sul Parkinson, segnalo alcuni recenti studi che dimostrano come una attività fisica sostenuta e continua nel tempo per almeno 150 minuti alla settimana è in grado di migliorare i sintomi della malattia ed anche di rallentarne il decorso. Si tratta di un approccio non farmacologico e poco costoso che oggi proponiamo a tutti i pazienti a partire dalle fasi iniziali di malattia in associazione i farmaci.

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