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venerdì, Settembre 20, 2024

Alla scoperta della Medicina: dalla nascita degli ospedali nel Medioevo all’avvio delle vaccinazioni nel 1700

Riceviamo e pubblichiamo l’editoriale del Professor Ubaldo Bonuccelli pubblicato nel nuovo numero di “Amici del Cervello News”, il periodico dell’associazione per la ricerca neurologica ARNo presieduta da Gianfranco Antognoli, e della quale l’autore è direttore scientifico. L’articolo rappresenta la seconda puntata della storia della Medicina pubblicata sul periodico dell’associazione a favore della ricerca neurologica.

Alto Medio Evo: nascono grazie agli ordini monastici i primi abbozzi di ospedale: i benedettini agli inizi del 500 DC furono i primi a creare delle infermerie con ricovero dei monaci ammalati e dei pazienti bisognosi di cure. Negli orti dei Semplici, nell’ambito del convento, venivano coltivate piante medicamentose da conservare essiccate in vasi di vetro all’interno di veri e propri armadi farmaceutici. Nei secoli seguenti, sui percorsi della via Francigena frequentata dai pellegrini diretti a Roma e dai crociati, sorgono numerosi ospedali quasi sempre gestiti da religiosi. Per identificare il medico si utilizzava il termine Medicus; chi esercitava la chirurgia, veniva chiamato Cyrurgicus o Cerusico. Quelli che invece avevano un’istruzione inferiore erano i cosiddetti barbieri-chirurghi (barberus) che si occupavano essenzialmente di salassi, cura delle ferite e semplici operazioni.

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Intorno all’anno 1000 nasce a Salerno la famosa Scuola Medica salernitana, sviluppatasi a seguito dell’incontro di medici greci, romani, ebrei ed arabi che sulla base dei progressi raggiunti dalla medicina classica greco-romana e dalla medicina arabico-giudaica dettero rinnovato impulso alla professione medica. Nel XII secolo per esercitare la medicina era necessario superare un esame condotto da un Maestro salernitano.

Nel suo complesso la medicina del primo Medioevo, grazie ai monaci cristiani riuscì lentamente a recuperare molte delle conoscenze dell’epoca romana che si erano perdute negli anni più critici e bui delle invasioni barbariche e della fuga dalle città. Si devono ringraziare i monaci amanuensi che traducevano in latino dal greco i testi classici ed i monaci dedicati alle cure dei malati. Tuttavia il cristianesimo molto pervasivo nella vita privata e sociale di quel periodo, fu una delle cause dell’arresto di sviluppo della scienza medica: la malattia era infatti vista come un segno del peccato ed i malati come peccatori che dovevano essere tenuti in disparte, e vivere la malattia ed il dolore come penitenza: il monaco ammalato poteva mangiare la carne per ritemprarsi ma veniva allontanato dal sacramento della comunione, se poi peggiorava il moribondo doveva confessarsi pubblicamente di fronte ai confratelli, poi riceveva l’estrema unzione e non poteva più mangiar carne per avvicinarsi allo stato angelico vegliato fino alla fine. Insomma, il ruolo del medico, spesso interpretato dai chierici, diventò più quello di un consolatore caritatevole che di uno studioso capace di fare diagnosi e prescrivere terapie.

Basso Medio Evo e Rinascimento: nel 1130 il concilio di Clermont proibì almeno in parte ai monaci ed ai canonici di praticare la medicina, aumentando l’importanza dei laici e dei medici: era infatti facile per i monaci lasciare i loro chiostri per esercitare extramoenia la professione medica, esponendoli a donne e denaro. Le opere di 2 grandi medici, il primo l’arabo Avicenna con Il Canone ed il secondo l’ebreo Maimonide con il Libro sui Veleni e gli Antidoti, segnano insieme alla nascita di numerose Università (in Italia dopo Bologna 1110, anche Padova 1222, Pavia 1361, Pisa 1363) il passaggio alla medicina rinascimentale. L’epidemia di peste che dalla Cina raggiunse l’Europa nel 1347 riducendo del 30% la popolazione europea, il persistere di epidemie ricorrenti di vaiolo e lebbra insieme al profondo rinnovamento culturale del Rinascimento, portarono la medicina e la sanità al centro degli interessi degli stati e delle classi dirigenti.

Nacquero così i primi ambienti isolati e dedicati alla cura dei pazienti infetti e le prime misure di quarantena specie nei porti, dove le navi dovevano rispettare un periodo di circa 40 giorni (quarantena) in rada prima di attraccare ai moli. Le stesse merci poi spesso erano trattate con fumi per combattere i “miasmi” che trasmettevano il morbo. La sanità comincia così diventare pubblica: nel 1423 a Venezia un’isola viene adibita a lazzaretto, luogo per la cura dei malati di peste; agli inizi del 1500 grazie alle autorità amministrative di Milano, Venezia, Genova e Firenze l’Italia risultava il paese europeo con l’organizzazione sanitaria più moderna ed efficace. Nello stesso periodo si concretizzava specie a Milano (nasce l’Ospedale Maggiore che ingloba 16 pre-esistenti piccoli ospedali) e poi nel resto d’Italia (a Firenze l’Ospedale degli Innocenti, a Pavia il San Matteo ed a Ferrara il Sant’Anna) il passaggio degli ospedali da una gestione frammentata e caritatevole e spesso anche corrotta ad una gestione oggi diremmo manageriale, con medici e chirurghi e con personale di supporto alle dipendenze della struttura che era diretta da persone scelte dal governo della città. La nascita della stampa, la revisione delle opere dei classici come Galeno in lingua greca originale e non da traduzioni dall’arabo, lo sviluppo delle Università in primis Padova dove il fiammingo Andreas Wesalium (Vesalio) inizia a correlare l’anatomia con la Chirurgia ma anche con la Medicina, generano le basi per uno sviluppo enorme delle scienze mediche, anche a fronte di nuove malattie come la Sifilide importata dalle Americhe in tutta Europa e la Malaria diffusa soprattutto in Italia.

Dal Nuovo Mondo arrivano nella vecchia Europa nuove sostanze terapeutiche estratte da piante ed erbe come Tabacco, Coca, Chinino e Guaiaco (palo santo). Il tabacco fu usato per il mal di testa con un certo successo e fu provato in tante altre malattie in genere come polvere da fiuto, con il risultato di provocare una forte dipendenza combattuta dalla Chiesa e dalle Autorità: l’esploratore inglese Walter Raleigh scopritore della Virginia, fu condannato alla decapitazione da re Giacomo 1° d’Inghilterra per la sua dipendenza dal tabacco. Il cardinale Richelieu impose sull’uso del tabacco ingenti tasse consentendo così il rapido diffondersi dei consumi in Francia e poi in tutta Europa dove il vantaggio dei pubblici erari con questa nuova tassa superò rapidamente i possibili problemi di salute dei cittadini.

Agli inizi del 1600 si diffuse in Europa l’uso dell’estratto alcoolico della corteccia dell’albero di china per la Malaria: a Loja in Perù, un capo indiano riuscì a curare un gesuita che presentava le febbri terzane tipiche della Malaria (accesso di febbre elevata ogni terzo giorno), fino a far scomparire la malattia. Nel 1630 questo gesuita avrebbe consigliato lo stesso rimedio al governatore di Loja, facendolo guarire dalla Malaria. Un anno più tardi la sposa del viceré del Perù, il conte di Chinchón, si ammalò a Lima di febbre terzana, sintomo inconfondibile della malaria ed il governatore di Loja scrisse immediatamente al suo viceré che possedeva un rimedio per la sua sposa: una volta assunto il rimedio, come per miracolo, la contessa guarì. Questa storia si diffuse rapidamente in tutta Europa, fino al punto che il naturalista svedese Carlo Linneo diede poi all’albero di china il nome di Cinchona officinalis e l’intossicazione da chinino fu in seguito denominata Cinconismo.

Dall’America si diffuse in modo epidemico in Europa la Sifilide (Lue o Mal Francese): sintomi tipici dell’infezione erano lesioni cutanee ai genitali ed in altre sedi, insieme a febbre e tumefazione dei linfonodi. Nelle fasi avanzate frequenti l’interessamento del cuore e del cervello con un quadro di demenza e difficoltà motorie. Il sistema di quarantene, isolamento e disinfezioni, adottato contro la diffusione di altre malattie contagiose come peste e colera, era inutile contro la sifilide che aveva come principale via di trasmissione il rapporto sessuale. Le cure più in voga benché poco efficaci erano allora il mercurio ed il Guaiaco. Il mercurio era usato come unguento con effetto ustionante con cui cospargere le lesioni o attraverso fumigazioni: i pazienti all’interno di una botte (stufa mercuriale) potevano respirare la miscela generata dal riscaldamento di mercurio e incenso, che agiva sulla cute, e talora si ottenevano guarigioni all’epoca considerate quasi miracolose. L’estratto di Guaiaco, albero dei caraibi chiamato Palo Santo era solo moderatamente efficace ma meno tossico del mercurio ed in pochi decenni cadde in oblio. Solo nel 1905 fu evidenziato che l’agente patogeno era il batterio Treponema Pallidum e poco dopo emerse una terapia in parte efficace a base di Salvarsan, un preparato contenente arsenico poi rimpiazzato dai moderni antibiotici primo fra tutti la Penicillina.

1600: oltre l’uso e lo sviluppo sempre più esteso degli occhiali comincia l’epoca della visione dell’ultra-piccolo con la nascita del microscopio. Un mercante di stoffe fiammingo, si era appassionato di lenti capaci d’ingrandire in modo da studiare la trama dei tessuti; tale Antoni Leeuwenhoek, cominciò a costruire lenti che incastrava tra due lamine di legno o metallo, osservando con questi apparati tutto quello che poteva: riuscì a costruirne uno capace di 270 ingrandimenti e descrisse i globuli rossi, gli spermatozoi e vari batteri comunicando il tutto tramite disegni ed illustrazioni alla Royal Society of London da poco sorta, che diffuse l’uso del microscopio nell’Accademia Medica europea, generando alla fine, nuove e fondamentali scoperte.

Il professor Ubaldo Bonuccelli, direttore scientifico di “Arno” (foto tratta dal sito del Festival La Versiliana)

1700: inizia il secolo dei Lumi, propiziato dalla rivoluzione del pisano Galileo Galilei che indicò la necessità di abbandonare il pensiero deduttivo a favore di quello induttivo: dall’osservazione dei fenomeni si doveva giungere ad individuare le leggi che li governano e con l’esperimento, riproducendo artificialmente il fenomeno, si doveva controllare se il ragionamento seguito era valido. Nasce così la scienza moderna all’insegna del motto Galileiano dell’Accademia del Cimento “provando e riprovando”, preso in realtà in prestito da una terzina dantesca.

La medicina diventa una delle scienze sperimentali fondamentali e seguendo le orme della Encyclopedie di Diderot e D’Alembert, un medico svedese Linneo introduce nella botanica una classificazione delle piante ancora oggi usata e con Giovan Battista Morgagni, professore di Medicina all’Università di Padova, inizia la medicina moderna. Nel 1761 pubblica la sua opera fondamentale “De sedibus et causis morborum” costituita da una raccolta di reperti anatomo-patologici accompagnati dai sintomi presentati dal paziente in vita e dalle possibili correlazioni tra alterazioni anatomiche e sintomatologia clinica.

Sempre sul finire del ‘700 inizia l’era delle vaccinazioni, in particolare quella contro il vaiolo. Il vaiolo, che oggi sappiamo è provocato dai 2 virus Variola Maior e Minor che si trasmettono per via aerea, presente già in epoca romana, continuò a mietere milioni di vittime in Europa fino al 1796 quando il medico inglese Jenner riuscì a creare una difesa efficace inoculando nella pelle materiale ottenuto dalle lesioni cutanee di mucche infettate da una varietà del virus che colpiva i bovini ma non provocava la malattia nell’uomo. Da ciò deriva l’impiego del termine “vaccino” per indicare tutte le pratiche immunizzanti per le malattie infettive. La vaccinazione della popolazione generale per il vaiolo divenne obbligatoria nel Principato di Lucca nel 1806, nel Regno Unito nel 1855, in Italia nel 1861 ed a seguire nel resto d’Europa e negli USA ma soltanto nel 1980 l’OMS dichiarò solennemente: “il mondo e i suoi popoli hanno ottenuto la libertà dal vaiolo”.

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