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martedì, Gennaio 21, 2025

Micro, piccole e medie imprese: insieme oltre la crescita zero. Proposte per il rilancio del comparto

Riceviamo e pubblichiamo in anteprima un articolo di Roberto Nicastro – cofondatore e presidente di Banca AideXa – che sarà pubblicato sul prossimo numero di “Leasing Time Magazine”, il periodico di economia e finanza diretto da Gianfranco Antognoli.

Nell’attuale crescita stagnante “zero virgola”, affrontare con lucidità il ruolo delle MPI (micro e piccole imprese, def. Confartigianato, con meno di 50 addetti, concetto diverso da PMI che invece comprende le medie imprese) è fondamentale per superare soluzioni preconfezionate e poco efficaci.

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Rappresentano il 95% degli imprenditori, generano circa il 27% del PIL, creano oltre metà dei nuovi posti di lavoro e giocano un ruolo cardine nella coesione sociale del paese, contribuendo a preservare i legami tra territori e comunità. Allo stesso tempo, però, sono alla base di alcuni problemi strutturali. La bassa produttività, innanzitutto, poiché la frammentazione limita le economie di scala, l’efficienza operativa e frena gli investimenti in ricerca. Anche i bassi salari d’ingresso per i giovani e il peso in Italia dell’evasione fiscale hanno a che fare con la struttura molecolare del nostro capitalismo.

Questi problemi hanno spesso spinto a promuovere fusioni e aggregazioni tra imprese, anche con incentivi fiscali, ma con scarsi risultati. Il numero di MPI rimane stabile a circa 4,5 milioni, un dato che contrasta col sensibile calo demografico della popolazione. In questa persistenza ci sono fattori culturali, tecnologici e settoriali. L’individualismo, la cultura dell’autoimprenditorialità e il desiderio di essere “capo di sé stessi” prevalgono infatti sull’idea di aggregazione. L’espansione più marcata del terziario ha favorito nascita e sviluppo delle MPI. Nuove tecnologie, ruolo delle piattaforme digitali e strumenti come e-commerce e cloud computing, hanno peraltro reso le MPI più capaci di stare in piedi da sole. E quindi è inutile chiedersi se “piccolo” sia brutto o bello; “piccolo” è solo un fatto strutturale del nostro paese.

Peraltro, le MPI italiane si sono rafforzate, la crisi passata è stata molto “darwiniana” e oggi quelle rimaste sono meno indebitate. Sulla spinta della fatturazione elettronica e della pandemia hanno raggiunto il 53% delle competenze digitali di base, recuperando la media europea (DESI 2023), oltre a contribuire più gettito al Fisco.

E hanno le carte in regola per essere un fattore strategico per il rilancio, anziché una zavorra. Come? Agendo su cinque direttrici principali:

  • accelerare ulteriormente la digitalizzazione delle MPI italiane;
  • promuovere ulteriormente le reti di impresa;
  • ripensare norme e burocrazie che spesso prevedono regole uniformi per tutti imponendo costi fissi sproporzionati alle MPI;
  • affrontare il credit crunch suggerendo un approccio sempre più attento alle micro e piccole imprese da parte del Fondo di Garanzia PMI.
  • E ci sono settori densi di microimprese, ad esempio quello del turismo, che hanno bisogno di vere e proprie strategie pubbliche. Né basta investire sulle “filiere”, posto che il 70% delle MPI non ne fa parte.

L’Italia deve puntare a una crescita inclusiva che valorizzi tanto l’agriturismo di Spoleto, quanto la Ferrari. L’approccio non può essere “o uno o l’altro”, ma “entrambi” o “insieme”. Non è, infatti, contrapponendo l’Italia del “made in Italy” e “l’Italia dei camerieri”, che si combatte lo “zerovirgola”.

Roberto Nicastro

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