Riceviamo e pubblichiamo un’anticipazione del numero di aprile di “Leasing Magazine”, il mensile di economia, finanza e cultura diretto da Gianfranco Antognoli. Si tratta dell’articolo intitolato “La sostenibilità, la risposta alla ‘tempesta perfetta’. Riflessioni sul concetto di sostenibilità e sulla rendicontazione”. Divo Grochi analizza le problematiche economiche e le ricadute sulle imprese della crisi ucraina, e indica quali soluzioni seguire per ridurre i contraccolpi. L’autore è uno dei noti banchieri italiani.
La definizione più conosciuta dello sviluppo sostenibile è quella delle Nazioni Unite del 1948: lo sviluppo sostenibile è volto a soddisfare i bisogni della generazione presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di far fronte ai propri. Per rendicontare il progresso economico (per alcuni il benessere) delle collettività nazionali e poterne verificare nel tempo le dinamiche, si è sempre ritenuto che il Prodotto Interno Lordo (PIL) fosse idoneo allo scopo. Questo indice rappresenta il valore monetario aggregato di tutti gli asset e i servizi prodotti da uno Stato nell’anno solare. È un indice finanziario e tiene conto di tutte le transazioni effettuate nel periodo.
Nel tempo si sono manifestate obiezioni sull’idoneità di questo indice di quantificare realmente la ricchezza di una Nazione perché registra “solo” i fatti economici, trascurando ogni altro provento dal volontariato al sommerso ed alle attività illecite; trascura altresì tutto ciò che determina il benessere al di la dei fatti monetari (giustizia, clima sociale ecc.). Il primo che espose all’opinione pubblica questa problematica fu Robert Kennedy nel 1968 indicando che: il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza, né la nostra conoscenza, né la nostra compassione, né la devozione al nostro Paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.
Successivamente, organizzazioni, economisti e studiosi avanzarono proposte per superare le performance economiche (PIL) considerando quali fattori riduttivi il degrado ambientale e il depauperamento delle risorse naturali. Tra gli altri Stiglitz la cui rendicontazione fu chiamata anche Pil verde. Una spinta importante per le ricerche fu data da Sarkozy nel 2008 con la costituzione della “Commissione internazionale sulla misurazione della performance economica e del progresso sociale” proprio per riesaminare l’adeguatezza delle metriche correnti e suggerire approcci alternativi. Furono chiamati a presiedere i lavori nominativi di alto prestigio (Fituossi, Sen e Stiglitz). Il Rapporto finale del 2009 cadde nella distrazione delle forze politiche a causa della complessa situazione finanziaria del momento. Si sono differenziate molte iniziative, sull’ambiente (Commissione statistica ONU), sui rischi del settore finanziario (Paesi del G20) sulla valutazione del progresso sociale (OCSE) e così via.
Merita ricordare che nel 2011 l’OCSE lanciò un nuovo programma biennale (How’s lite? Misuring well-being) e creò il Better Lite Index, strumento interattivo che fornisce una ampia varietà di misure volte a rappresentare la “buona vita”. Il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite ha aggiornato l’indice di sviluppo umano sugli indicatori di reddito, salute e istruzione per cogliere gli effetti e la dimensione delle disuguaglianze. I pannelli costruiti per le singole aree che costituiscono il progresso sociale nel suo insieme, non sono agevoli a rappresentare al pubblico i cambiamenti avvenuti nel tempo per la complessità delle scale numeriche che possono portare a interpretazioni diverse. La stessa OCSE visualizza sul sito Better Lite Index una selezione di indicatori del benessere consentendo così agli utenti di costruirsi il loro indice, prendendo in esame i dati che ritengono di maggior valore. L’accelerazione di questi ultimi anni a valutare e discutere sui vari problemi che incidono sulla vita quotidiana, ha contribuito a coinvolgere l’opinione pubblica sui rischi di stabilità del nostro ecosistema, compromesso dalle risorse sempre più ingenti richieste dallo sviluppo. Tutto ciò ha avuto impatto sugli investimenti del settore privato.
Sostenibilità nei bilanci aziendali
L’economia di mercato capitalistica ha sempre affermato che lo scopo primario di una azienda è il profitto, quale compenso degli azionisti, valorizzando i vantaggi dell’innovazione e l’utilizzo delle risorse a basso costo (umane e naturali). Questa lettura trova conferma nel fatto che il valore e la solidità delle aziende sono sempre state misurate da indici numerari quantitativi, sia patrimoniali che economici, in analogia alla rendicontazione dello sviluppo economico delle collettività nazionali (PIL). La contabilità aziendale non prevede infatti alcun correttivo dell’utile con i costi di produzione inflitti al sistema economico nel suo complesso (depauperamento delle risorse naturali, degrado ambientale, ingiustizie generalizzate, ecc.). Anche nel settore privato con il nuovo secolo si sono rafforzate le voci di dissenso per un capitalismo individuale ed egoista che non considera gli interessi della popolazione e le aspettative degli stakeholder.
È stato acutamente osservato che i mercati non troveranno da soli la direzione verde e che un ruolo fondamentale può essere svolto dagli Stati e dalla pressione dell’opinione pubblica per creare un canale stabile e coerente di investimenti che garantisca la convergenza di regolamentazione ed innovazione lungo una linea che affronti l’intera problematica. Le imprese sono disposte ad operare se vedono una opportunità di crescita e gli investitori possono essere attratti se convinti che il loro intervento sarà effettivamente utile a raggiungere obiettivi realmente orientati, se non a risolvere, almeno a mitigare il degrado ambientale.
Al fine di gestire una economia globale sostenibile che coniughi la redditività a lungo termine delle imprese, la giustizia sociale e la protezione dell’ambiente, il Parlamento europeo, nel 2013, ha approvato la Risoluzione sociale delle imprese che riconosce l’importanza di comunicare al pubblico le informazioni sulla sostenibilità con particolare riguardo ai fattori sociali e ambientali per accrescere la fiducia degli investitori e dei consumatori sugli investimenti sostenibili. Con la Direttiva 2014/95 UE è stato introdotto l’obbligo di redazione della Dichiarazione Non Finanziaria (DNF). La Direttiva è stata recepita nell’ordinamento nazionale con D.L. n. 254/16 e la Consob, con delibera n. 20267 /18 ha dato attuazione alle previsioni del suddetto Decreto, emanando un Regolamento attuativo relativo alle comunicazioni di carattere non finanziario, entrato in vigore nel 2017. I temi previsti dal Regolamento sono relativi ai settori ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani e alla lotta contro la corruzione attiva e passiva.
L’introduzione dell’obbligo della redazione della DNF da parte di Enti di interesse pubblico di adeguate dimensioni, ha sortito l’effetto per molte imprese di un necessario salto di qualità per rivedere e riorientare i propri sistemi di rendicontazione, rispetto al passato in cui non era disciplinata la Dichiarazione che avveniva su base volontaria. Per i first time reporter si è trattato necessariamente di un impegno importante per la vastità e profondità dei temi trattati. La vasta gamma delle informazioni da divulgare vanno identificate e selezionate secondo il filtro della rilevanza e materialità, alla luce dei principi previsti dallo standard di rendicontazione per le singole aziende. La tipologia di informazioni richieste non ha carattere monetario ma influenza decisamente la capacità e la qualità reddituale dell’impresa nel medio lungo periodo.
Nel 2020 è stato approvato dalla Commissione europea il Regolamento UE n. 852 che sottolinea l’obiettivo di favorire gli investimenti del settore privato per la transizione economica a bassa emissione di carbonio tramite la creazione di un sistema di classificazione comune per le attività ecosostenibili (tassonomia dell’UE). La tassonomia verde è incentrata su sei obiettivi che spaziano dalla mitigazione dei cambiamenti climatici alla tutela della biodiversità e degli ecosistemi.
Recentemente, ottobre 2021, le tre autorità di vigilanza europea hanno presentato alla Commissione il loro Rapporto finale sugli standard tecnici di regolamentazione (RTS) che mirano a migliorare le informazioni necessarie al collocamento dei prodotti di finanza sostenibile. La commissione ha ora tre mesi di tempo per l’esame e l’approvazione. Ovviamente le varie norme di regolamentazione hanno la finalità di evitare abusi nel collocamento di prodotti ingannevolmente presentati come sostenibili per l’ambiente (green washing) e di rafforzare la fiducia degli investitori per questi prodotti.
L’effetto positivo e palpabile dell’interesse manifestato sia dalle imprese che dagli investitori è la cresciuta propensione mostrata nel corso del 2021 alla sottoscrizione di prodotti sostenibili, favorita da una maggiore trasparenza dei mercati e dall’integrazione nei prodotti dei criteri ambientali, sociali e di governance. In Italia il patrimonio dei Fondi di investimento classificato in base alla Sustainable Finance Disclosure Regolation (SFDR) ammonta al 30 giugno a 334 mld di euro, pari al 29% dei fondi totali amministrati (fonte Assogestioni).
Alcune considerazioni
I costi ipotizzati per la pur apprezzata transizione verde, secondo i programmi delineati dalla Commissione Europea, erano già considerati elevati da parte di molti economisti e ·imprenditori; gli ulteriori oneri diretti e indiretti derivanti dalla recente crisi Russia-Ucraina impongono una profonda riflessione sulle modalità e sui tempi di realizzazione del programma energetico. Da più parti si chiede addirittura di riattivare, almeno temporaneamente, le inquinanti centrali a carbone (o l’apertura di centrali nucleari) pur di superare i problemi di approvvigionamento del gas. L’Unione Europea è stata la prima a declinare compiutamente la tassonomia opportuna per definire “sostenibile” un prodotto finanziario.
Il punto di debolezza è costituito dal fatto che non esiste, a livello mondiale, una definizione univoca e standardizzata delle metriche utilizzate per tale definizione. La speranza è che lo standard europeo possa unificare le altre posizioni.
La Dichiarazione non Finanziaria ora obbligatoriamente richiesta, contiene senza dubbio una massa rilevante di informazioni che consente di migliorare i processi di rendicontazione sui temi rilevanti per gli stakeholder, divulgando indicazioni affidabili sui progressi e le tendenze della gestione globale dell’azienda. Tuttavia, per una immediata percezione delle dinamiche aziendali sarebbe opportuna la creazione di uno o più indici che possano sintetizzare le tendenze degli stessi temi trattati.
Divo Gronchi