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Franca Pisani chiamata agli Uffizi per illustrare la nascita negli anni ’70 dell’arte concettuale a Firenze

Nell’ambito del ciclo di conferenze “Dialoghi d’arte e cultura” organizzato dalle Gallerie degli Uffizi, a Firenze, mercoledì 15 marzo alle ore 17 l’artista toscana Franca Pisani sarà protagonista dell’incontro Sette anni di arte concettuale a Firenze (1974-1981), che si svolgerà nell’Auditorium Vasari degli Uffizi con ingresso gratuito.

Nata a Grosseto nel 1956, diventata fiorentina d’adozione e ora residente a Pietrasanta, Franca Pisani ha già avuto rapporti artistici con il primo museo d’Italia: dal 17 dicembre 2013 al 2 febbraio 2014 partecipò alla mostra Dietrofront “Il lato nascosto delle collezioni”, allestita alle Reali Poste degli Uffizi; a seguire, nel 2014, fu stipulato l’atto di donazione del proprio Autoritratto alla Galleria.

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Per Franca Pisani si tratta quindi di un ritorno nel complesso vasariano; l’Artista infatti ha accolto con gioia l’invito della Direzione degli Uffizi a parlare di “arte concettuale”, una forma di espressione artistica contemporanea che mezzo secolo fa ebbe un grande impulso a Firenze, proprio nello Studio d’artista di Franca Pisani, vera fucina di idee e di rapporti con le realtà artistiche di tutta Europa.

Franca Pisani iniziò le sue sperimentazioni concettuali nei primi anni Settanta del Novecento, con un contributo sul fronte dell’arte contemporanea, un percorso d’artista che puntava a esaltare il valore delle idee su quello del fare, rinnegando il ricorso alle tecniche artistiche tradizionali. La svolta dei creativi anni 70, quelli della contestazione giovanile nel mondo occidentale, era stata la frase di Andy Warhol: “più che fare, conta comunicare”. E a Firenze, nel quartiere dell’Oltrarno in Santo Spirito, fatto di viuzze, dove si respira la fiorentinità autentica, e in un clima sociale diversi da quelli del centro storico turistico, nacque lo Studio Franca Pisani Arte d’Avanguardia – così si leggeva sulla targhetta d’ottone posta in Borgo Tegolaio 7 – al piano terra di Palazzo Corsini Suarez o Palazzo della Commenda.

Quel luogo divenne presto l’ideale “pensatoio” dove, nella calma delle idee, Franca Pisani cercò l’energia per portare alla luce la sua “arte d’avanguardia”. Nel 1972 l’Artista conobbe Ketty La Rocca, che poi diventò esponente di spicco della corrente italiana di performer e arte concettuale, inserita nelle avanguardie artistiche internazionali. Ketty era molto avanti, fosse solo per il coraggio delle sue performance, e capace di esprimere un nuovo linguaggio segnico. Purtroppo La Rocca scomparve nel 1976, lasciando Franca Pisani piena di domande sul messaggio artistico e femminile.

L’esperienza di Album Operozio

A quel punto Pisani decise di prestare attenzione ad altre voci del panorama dell’arte contemporanea: «l’arte è per tutti, deve diventare fluida e non deve costare nulla» diceva l’amico Vinicio Berti; quindi le sperimentazioni concettuali materiche di se stessa e le convinzioni artistiche della “Poesia Visiva” di Eugenio Miccini, ispirarono a Franca Pisani Album Operozio, libro d’artista in rara pergamena di Burgo, che nasceva da un’idea dell’Artista di riunire in un solo album decine e decine di bozzetti e disegni d’artista che lei avrebbe poi tradotto in timbri.

Ne realizzò una trentina di esemplari ma non si trattò di mail-art, dove il gesto della spedizione e della corrispondenza era arte, bensì di idee espresse che si dimostrarono più importanti del risultato estetico e percettivo dell’opera stessa.

In particolare Album Operozio fu una pubblicazione manuale e indipendente, che garantì agli artisti chiamati a partecipare una totale libertà espressiva, parzialmente in polemica con l’arte tradizionale della quale si rifiutavano tecniche, supporti e finalità, pubblicazione e storia di clandestinità e fuga. Per gli artisti dell’Est, che in quel momento vivevano al di là della “cortina di ferro”, si trattò di tecnica per sfuggire ai controlli, per stordire la censura del sistema, deriderlo e lasciarlo interdetto. Far viaggiare cartoline e spacci in libertà per i cieli d’Europa attraverso la posta e sotto il naso dei controlli e della censura dell’est Europa, dei regimi totalitari, perché per fortuna la posta funzionava perfettamente, fu una scommessa vinta e l’intelligenza divenne il sabotaggio del sistema.

Al progetto aderirono circa 35 artisti, tra cui: Andre Cadere, nato in Polonia figlio di un Diplomatico, si trasferì a Bucarest in Romania, suo padre fu arrestato da Ceausescu e lui si lasciò alle spalle la dittatura, abbandonando la Romania con destinazione Parigi dove creò e divenne il sovversivo delle barre di legno rotonde, colorate, con cui entrò nella storia del minimalismo internazionale; si sentirà sempre un diverso, un nomade, contro il realismo socialista. Suo acerrimo nemico era Daniel Buren francese, i due artisti infatti creavano opere in apparenza simili. Zofia Kulik di Varsavia fu una pietra miliare nella storia del femminismo nell’Europa orientale: nel 97 rappresentò la Polonia alla Biennale di Venezia. Andras Baranyay e Gabor Attalay ungheresi di Budapest, raccontarono con il loro timbro-progetto le “tecniche di evasione” messe in atto per sfuggire ai controlli, per eludere il potere, deriderlo sotto i suoi occhi con lo strumento dell’arte concettuale. Arnuf Rainer artista di Vienna (recentemente protagonista di una personale a Firenze), nei suoi ultimi lavori intensamente interessato alla fotografia, è noto per i suoi ritratti ritoccati, distorti. Ben Vautier della scuola di Nizza, scriveva pensieri ironici e irriverenti. Rebecca Horn performer, scultrice, regista tedesca, è famosa per le sue ironiche estensioni corporali. Giulio Paolini, torinese, alla ricerca di matrice concettuale, citazioni letterali di dipinti illustri, il doppio, la coppia, la Mimesi. Maurizio Nannucci fiorentino, creatore installazioni al neon (una la espose anche sulla facciata degli Uffizi che si affaccia sull’Arno una dozzina di anni fa) recuperava la parola, la forza del simbolo, evidenziando la temporalità della scrittura e installazioni sonore. Paolo Masi, che lavorando trasformava i materiali come i cartoni da imballaggio sui quali interviva con un’operazione manuale pittorica. Da segnalare che anche l’attore Paolo Poli frequentò lo Studio di Franca Pisani, incuriosito da questa “arte d’avanguardia”, con la quale lui – che era un attore, oltre che un poeta – vedeva assonanze.

Anche per queste presenze eccellenti, oltre che per l’idea, Album Operozio ebbe un successo immediato riconosciuto: fu esposto nel 1977 in occasione dell’apertura del Centre Pompidou di Parigi, voluto fortemente dal Direttore Pontus Hulten e considerato dagli addetti come l’esempio massimo di creatività libera e incondizionata, di condivisione intellettuale. La fortuna di Album Operozio è però continuata quasi fino ai nostri giorni: era infatti il 2009 quando la presenza di alcuni esemplari dell’Album fu “scoperta” da Franca Pisani al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia di Madrid, alla Sapienza di Roma, alla Yale University del Connecticut e al Museo di Arte Moderna di Città del Messico.

 

Dall’arte pura al manufatto

Stanca dell’arte concettuale “pura”, nel 1977 Franca Pisani diede una svolta al suo rapporto con l’arte concettuale: incontrò il critico d’arte romano Enrico Crispolti cui chiese di studiare e scrivere un manifesto di artisti che unissero all’idea concettuale pura il manufatto, affinché l’artista tornasse profondamente consapevole della propria, personale creatività.

Nacque così il progetto artistico Manumissio-dell’affrancare gli schiavi e le altre persone da condizione servile. Gli affrancati erano schiavi liberati per influsso del diritto romano e quindi esonerati dall’obbligo di obbedire e servire. Manumissio è un manifesto illuminato figlio di un nuovo percorso artistico che volle intraprendere Franca Pisani lontana dall’arte concettuale imperante, per un ritorno al manufatto. In questo senso, Manumissio si rivelò il giusto compendio di Album Operozio, cioè espresse una creatività delicata, senza orpelli, un vero manufatto, una comunicazione.

Intanto nello suo Studio Franca creava mostre – fra le quali La Memoria invece di Adolfo Natalini, che si interessava di oggetti d’uso semplice e di architettura elementare, un’indagine e vera pietra miliare che lo portò a un lavoro di rifondazione antropologica dell’architettura, sulla vita di tutti i giorni e sulla memoria -, presentazioni di libri con Renato Barilli e Filiberto Menna. Gli artisti esponevano opere rigorose e innovatrici, e per ogni inaugurazione Pisani proponeva una sua performance che la accomunava idealmente a Ketty La Rocca e che pubblicava in ogni invito-manuale, un suo atto creativo fatto con i timbri, uno a uno.

Da allora è trascorso mezzo secolo, Franca Pisani non si è mai fermata, ha sperimentato linguaggi espressivi diversi grazie a soluzioni materiche talvolta anche ardite, è stata protagonista di innumerevoli mostre in Italia e all’estero, ma sono proprio quegli anni cruciali in Borgo Tegolaio 7 a farne oggi un’artista davvero speciale, una caposcuola dell’arte concettuale, pronta ad aprire al pubblico il proprio archivio, sia mentale, sia materiale, dei suoi ricordi.

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