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venerdì, Novembre 22, 2024

Il tesoro di Populonia, storia e misteri di un gruzzolo di 565 monete etrusche perduto e ritrovato due volte

Golfo di Baratti, non lontano da Piombino, correva l’anno 1939. Alcuni abitanti della zona iniziano a fare acquisti pagando con antiche monete etrusche: in particolare, una signora compra un set di biancheria mentre il marito si concede alcune bevute da Pasquina, la storica osteria del posto. E’ così che prende forma una delle scoperte più importanti, anche se poco nota ai più, dell’archeologia etrusca: un tesoretto denominato il “ripostiglio della Porcareccia”, costituito da oltre cinquecento monete d’argento databili alla fine del IV secolo a.C. che erano state coniate dalla zecca di Populonia.

L’indizio che dovesse essere avvenuto un ritrovamento archeologico di particolare importanza era il fatto che la coppia, i cui movimenti avevano fatto insospettire le autorità locali,  lavoravano per conto della ditta Procchi agli scavi per il recupero delle scorie di ferro risalenti al periodo in cui Populonia era il polo siderurgico dell’Etruria, la Pittsburg  dell’antichità come è stata definita: nel golfo di Baratti venivano infatti trattati i minerali estratti sia all’Isola d’Elba (in particolare l’ematite della zona di Rio) che nelle miniere dell’entroterra, solo che le antiche tecniche di fusione non consentivano di recuperare tutto il materiale potenzialmente sfruttabile.

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Occorre però fare un altro passo indietro nel tempo per comprendere meglio lo scenario della storia. Agli inizi del ‘900 si stimava che fossero presenti a Baratti più di due milioni e mezzo di tonnellate di materiale ferroso che coprivano interamente gli edifici più antichi. Quei cumuli di scorie, che in alcuni punti erano alti più di dieci metri, suscitarono l’interesse di aziende private le quali, già nel corso della Prima Guerra Mondiale, iniziarono a cercare di riutilizzare le scorie in modo industriale fondendole nei moderni altiforni.

Dopo varie vicende, nel 1933 la proprietà dei terreni fu acquisita dalla Società Populonia Italica che aveva interessi prevalentemente agricoli, ma che due anni dopo ottenne la concessione mineraria per sfruttare i giacimenti. La situazione comunque era in continuo divenire, tanto che nel 1936 la tenuta di Populonia, costituita dal borgo e dalle Società Populonia Italica e Marina di Populonia, fu venduta dai proprietari (gli avvocati Francesco Mussio e Mario Ciani che l’avevano a loro volta rilevata dalla famiglia Desideri) all’avvocato Tommaso Gasparri e alla moglie Giulia, ai cui nipoti appartiene tuttora il Castello.

Fu in questo contesto che venne alla luce il tesoretto, appunto in località Poggio della Porcareccia, ad opera degli operai addetti agli scavi minerari per il recupero delle scorie ferrose. Gli uomini si occupavano di picconare e scavare tra i cumuli di detriti, mentre le donne setacciavano i materiali estratti per recuperare beni archeologici. Le monete erano contenute in un vaso di ceramica che andò in frantumi, e furono divise fra i presenti.

Sul ritrovamento cadde un momentaneo silenzio, rotto qualche tempo dopo dalle spese incaute fatte dagli operai. La voce si sparse e Tommaso Gasparri venne così a conoscenza della scoperta avvenuta nei terreni di sua proprietà. Allora rintracciò uno per uno gli scopritori ai quali, in cambio delle monete che si erano spartiti, corrispose un piccolo risarcimento in denaro per un totale di 1.100 lire, promettendo anche ricompense nel caso di altri ritrovamenti. Gasparri, dopo aver ricomposto il tesoretto, avvisò la Guardia di Finanza e nel 1940 consegnò le monete all’allora Soprintendente alle Antichità d’Etruria, Antonio Minto, protagonista della grande stagione degli scavi governativi nel comprensorio di Populonia partita nel 1915.

In totale furono recuperate 565 monete, quasi tutte didracme d’argento con la raffigurazione di Gorgone o Medusa (Metus), l’iconografia tipica della produzione monetale di Populonia che era stata una delle prime zecche etrusche, se non la prima in assoluto. Il tesoretto fu quindi catalogato, studiato e diviso tra lo Stato e la Società Populonia Italica, proprietaria dei terreni dove era avvenuta la scoperta: Tommaso Gasparri ricevette complessivamente oltre duecento monete. Per legge infatti gli spettavano beni pari a un quarto del valore degli oggetti ritrovati.

Sul tesoretto cadde però nuovamente l’oblio, un oblio durato più di ottanta anni.  Nel dicembre 2021, Ottavio Gasparri, nipote di Tommaso, effettuò dei lavori di riordino nella soffitta della casa di famiglia a Roma. Spostando mobili e oggetti caduti in disuso, emerse da dietro un cassettone un pacco che custodiva le monete recuperate a Populonia nel 1939 che il nonno aveva ricevuto come “quota parte” del premio di rinvenimento. Insieme al tesoretto, ricomparve anche una piccola scatola di cartone contenente una statuetta in bronzo raffigurante un’Arpia, la creatura mitologica con testa di donna e corpo di uccello, proveniente dalla necropoli di Baratti. Il riscontro inventariale eseguito con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio delle province di Pisa e Livorno confermò che si trattava proprio delle monete rinvenute nella zona del Poggio della Porcareccia.

La famiglia Gasparri decise quindi di esporre le monete nel Museo etrusco di Populonia, che era stato inaugurato nel 1943 per volontà di Giulia e Tommaso Gasparri. Il Museo conserva gli oggetti della vita quotidiana degli Etruschi che hanno vissuto a Populonia dal IX al III secolo a.C. ed è la più antica istituzione museale del territorio. Vi sono custoditi i reperti archeologici della collezione privata della famiglia, proprietaria dei terreni di Baratti e Populonia. Il primo nucleo della collezione è formato dai reperti che furono assegnati dall’allora Soprintendenza alle Antichità d’Etruria alla famiglia Gasparri come premio per le scoperte archeologiche avvenute nei terreni di loro proprietà.

La collezione fu ampliata negli anni Cinquanta e Sessanta con reperti provenienti dagli scavi governativi delle necropoli della zona oltre che oggetti rinvenuti fuori dal loro contesto originario nei campi e nel mare di Baratti. Nel 1985, in occasione delle celebrazioni per l’anno degli Etruschi, il museo fu rinnovato e nel 1988 fu trasferito negli spazi dell’ex frantoio della Rocca che fu costruita dalla Repubblica di Pisa nel XII secolo.

L’allestimento espositivo delle monete della Porcareccia, custodite in una teca disegnata dall’architetto Erica Foggi, è stato inaugurato nel giugno 2022. Invece il loro studio è stato affidato all’esperto di numismatica Luciano Giannoni con il coordinamento dell’archeologa Carolina Megale nominata curatrice del museo dalla famiglia Gasparri. La restituzione alla comunità del tesoro di Populonia è avvenuto in occasione delle Giornate Europee dell’Archeologia dello stesso anno, durante le quali si è svolto un workshop tenuto da ricercatori e dedicato alla monetazione etrusca e alla zecca di Populonia.

Il libro

Questa storia è diventata anche un libro, a cura di Carolina Megale e Martina Fusi: “Il tesoro di Populonia. Museo etrusco Collezione Gasparri”, 128 pagine (Pacini Editore), per la collana “Archeologia in Cantiere”.

Ma il volume va oltre il racconto della scoperta del tesoretto che viene ricostruita in modo particolareggiato da Martina Fusi attraverso le ricerche effettuate nell’Archivio del Museo Archeologico Nazionale di Firenze, dove sono conservati i documenti relativi al ritrovamento e le monete ritrovate alla Porcareccia trattenute dallo Stato. Dal fascicolo, ottant’anni dopo, emergono non solo i nomi dei protagonisti della vicenda e degli effettivi scopritori del tesoro, ma anche l’intera dinamica dei fatti, che assume quasi i contorni e il sapore di un thriller.

Come si legge nella presentazione, il libro analizza e racconta sotto molteplici aspetti il sito pluristratificato di Populonia, “dove le tracce della storia e delle attività umane hanno scolpito l’ambiente e definito un paesaggio unico, memoria da conoscere, raccontare, valorizzare e talvolta difendere, affinché venga trasmesso, più integro possibile, ai cittadini del domani”.

Il libro, ricco di illustrazioni e di approfondimenti, offre una visione a 360 gradi della realtà populoniese conciliando il rigore scientifico con la divulgazione di dati, nozioni e fatti in modo chiaro e accessibile: dalla storia della città allo sviluppo degli studi archeologici, dalla nascita del Museo Collezione Gasparri alla monetazione etrusca, dalla modellazione dei paesaggi all’archeologia mineraria dei Monti di Campiglia. Il lettore viene così accompagnato in un vero e proprio viaggio dal IX secolo a.C., epoca in cui fu fondata Pupluna o Fufluna, da Fufluns, il nome del dio etrusco del vino, fino ai giorni nostri. Circa tremila anni di storia che hanno visto l’ascesa e la caduta di Populonia, città che svolse “un ruolo chiave nelle dinamiche polititiche, economiche e commerciali del Mediterraneo antico”, come scrive Carolina Megale tracciando l’immagine di una città cosmopolita, ricca e potente. Era l’unico dei principali centri etruschi ad essere stato fondato direttamente sul mare e diventò uno snodo fondamentale dei traffici che attraversavano il Mediterraneo, “una metropoli naturalmente aperta ai contatti, che accoglieva maestranze e apporti tecnologici, economici e artistici ad ampio raggio”.

Populonia divenne il principale centro siderurgico del Mediterraneo occidentale antico e raggiunse il massimo splendore nel IV secolo a.C. per poi lentamente decadere dopo la conquista romana. Quando fra Settecento e Ottocento i viaggiatori europei impegnati nel grand tour visitavano i principali siti archeologici italiani, Populonia era un luogo dimenticato, costituito dal borgo con il castello e da un porto di pescatori. I ritrovamenti archeologici erano sporadici e fu Isidoro Falchi, lo scopritore di Vetulonia, ad effettuare nel 1889 le prime indagini che porteranno alla riscoperta della città e delle necropoli.

Comunque nel libro è centrale la parte dedicata alla monetazione etrusca in generale, e populoniese in particolare. Gli Etruschi svilupparono in ritardo rispetto agli altri popoli mediterranei la produzione di monete, produzione che si rese necessaria con lo sviluppo dei traffici commerciali e che era legata a singole città-stato. Le prime zecche nacquero a Vulci, Lucca e appunto Populonia, dove vi erano le condizioni migliori per coniare monete: ricchezza economica e abbondanza di materie prime. Come scrive Fiorenzo Catalli, “la prima e più antica moneta pubblica etrusca è legata a Populonia e sembra essere rappresentata da una serie di valori diversi, in argento e in oro, tra cui spicca l’esemplare con la testa di Medusa con il segno di valore X”. Le monete populoniesi più note riportano l’effigie appunto di Medusa, ma se ne trovano anche con teste di divinità come Atena, Eracle, Hermes, Efesto, oppure con i simboli delle divinità stesse o animali (cinghiali, chimere, leoni marini). Invece quelle lucchesi si caratterizzavano per la figura dell’ippocampo.

Luciano Giannoni afferma che la monetazione populoniese inizialmente era privata, e che le famiglie gentilizie che governavano la città emettevano monete con l’immagine dell’animale totemico, reale o fantastico, che rappresentava il proprio clan. Successivamente comparvero figure e personaggi mitologici, come appunto Medusa, mentre un’altra particolarità delle monete populoniesi è che il rovescio è liscio. Gli studiosi hanno anche potuto rilevare che alla fine del IV secolo a.C.  avvenne un fenomeno di svalutazione, tanto che monete dello stesso peso riportano un valore dimezzato rispetto a quelle precedenti.

Pregio del volume scritto a più mani è quindi quello di mettere in relazione molti aspetti della storia del territorio, che hanno il loro fulcro nel piccolo ma notevole museo locale. Oltre alle presentazioni di Ottavio Gasparri (amministratore unico Castello di Populonia) e di Olimpia Vaccari (presidente della Fondazione Livorno – Arte e Cultura), il libro ospita i contributi di noti esperti dell’archeologia del territorio e di numismatica, molti dei quali sono stati relatori al workshop inaugurale dell’allestimento del tesoretto:

  • Carolina Megale (Museo etrusco di Populonia), “Il Museo etrusco di Populonia Collezione Gasparri”;
  • Fiorenzo Catalli (Museo Archeologico Nazionale di Firenze), “Le monete degli Etruschi” e “Le monete etrusche: il punto sulla questione”;
  • Luciano Giannoni (Associazione Archeologica Piombinese), “Le monete populoniesi con effige di Medusa” e “I ripostigli di monete con Medusa”;
  • Martina Fusi (Museo etrusco di Populonia), “Il tesoro di Populonia: notizie del ritrovamento”;
  • Stefano Bani (ricercatore indipendente), “Le invenzioni ottocentesche di monete etrusche con testa di leone”;
  • Marco Paperini (Past Experience), “Disiecta Populonia. Dai campi arati ai monetieri internazionali”;
  • Franco Cambi (Università di Siena), Alessandra Casini (Parco Nazionale delle Colline Metallifere Grossetane) e Andrea Zifferero (Università di Siena), “Piombo, rame e argento nelle grotte-miniera dei Monti di Campiglia: i risultati della ricerca archeomineraria”;
  • Antonio Borzatti von Löwenstern (Museo di Storia Naturale del Mediterraneo), Giovanna Cascone (Gruppo Speleologico Archeologico Livornese) e Luca Tinagli (Gruppo Speleologico Archeologico Livornese), “Piombo, rame e argento nelle grotte-miniera dei Monti di Campiglia: contesti, metodi e applicazioni di ricerca”;
  • Andrea Camilli (Soprintendenza ABAP Pisa e Livorno), “Il III secolo a.C.: la zona d’ombra di Populonia”.

Il libro è acquistabile sul sito di Pacini Editore e sulle principali piattaforme di vendita online, oltre che al bookshop del Museo insieme alle altre pubblicazioni degli studiosi di Past Experience.

Le curatrici

Carolina Megale: archeologa professionista, è amministratore delegato di Past in Progress Srl e consigliera della Fondazione Aglaia. Dirige il Museo etrusco di Populonia Collezione Gasparri e il Parco di Archeologia Condivisa dell’Area archeologica di Poggio del Molino a Populonia. È autrice di numerose pubblicazioni scientifiche, divulgative e di archeologia pubblica e ha curato, tra gli altri, il manuale di archeologia “Fare l’archeologo. Per passione e per mestiere” e il volume “Costruire il passato in Etruria. Il senso dell’archeologia nella società contemporanea”.

Martina Fusi: archeologa professionista, è dottore di ricerca in Scienze dell’Antichità e Archeologia con uno studio sulle produzioni ceramiche locali di Populonia in età ellenistica. Collabora alle ricerche archeologiche nel territorio di Populonia, in particolare presso il Parco di Archeologia Condivisa di Poggio del Molino, ed è coordinatrice del Museo etrusco di Populonia Collezione Gasparri, dove si occupa anche delle attività didattiche e della ricerca scientifica.

Per approfondimenti: la pagina Facebook del Museo e i siti internet di Past Experience e di ArchaeoReporter con un interessante video sul tesoretto di Populonia.

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