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venerdì, Novembre 22, 2024

La storia di Lucca nell’ex convento di S. Nicolao. Scavi mettono in luce reperti dall’epoca romana all’età moderna

Una strada glareata di epoca tardo antica, le strutture del primo nucleo del convento di San Nicolao a Lucca, riferibili agli edifici donati dai Busdraghi alla comunità monacale agostiniana di Santa Maria della Croce, che vi si stabilì fra il 1331 e il 1334, sistemazioni e reperti del periodo rinascimentale, quattro camere sotterranee usate come “sepoltura collettiva” coi resti delle suore agostiniane ospitate nell’antico complesso monastico durante il XVII secolo.

Sono questi i primi risultati dello scavo archeologico aperto nel grande complesso da oltre 10mila metri quadrati sotto l’egida della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Lucca e Massa Carrara, all’interno dell’enorme cantiere edile aperto dalla Provincia di Lucca per i lavori di ristrutturazione, recupero e adeguamento dell’immobile che tornerà ad ospitare studenti e professori del Liceo delle scienze umane ‘Paladini’ e dell’istituto professionale ‘Civitali’ di Lucca.

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Le scoperte sono state annunciate nel corso di una conferenza stampa a Palazzo Ducale, cui hanno preso parte il presidente della Provincia Luca Menesini, il funzionario archeologo della Soprintendenza Neva Chiarenza, e gli architetti Francesca Lazzari, Rup dell’intervento di recupero del San Nicolao, e Fabrizio Mechini, dirigente tecnico dell’amministrazione provinciale di Lucca. Nel complesso di S. Nicolao da alcuni mesi è al lavoro un’équipe di archeologi e antropologi diretta dall’archeologa Chiarenza della Soprintendenza, per garantire il recupero e la tutela del patrimonio storico conservato nel sottosuolo dell’ex convento. Un gruppo di esperti di cui fanno parte anche gli studiosi Elisabetta Abela, Domenica Barreca, Letizia Cavallini, Ivana Fusco, Luca Grassi, Giovanni Sodi e Maria Scalici della direzione operativa del restauro.

“Sapevamo che i lavori allo storico ex convento erano complessi, anche perché la possibilità di ritrovamenti importanti era alta, come nei fatti è stato – commenta il presidente della Provincia Menesini – . Ringrazio la Soprintendenza e le archeologhe per la collaborazione: riuscire a conciliare il loro compito  e il lavoro della ditta che sta riqualificando la scuola per restituirla agli studenti del Paladini durante le vacanze di Natale non era semplice, richiedeva impegno da ambo le parti e abbiamo incontrato grande disponibilità e sensibilità. I ritrovamenti del Civitali-Paladini arricchiscono ulteriormente il patrimonio archeologico del nostro territorio e permettono agli esperti – ma anche a tutti gli interessati – di conoscere un passato lontano ma affascinante. I ritrovamenti raccontano storie di altre epoche e di altre genti, che devono appartenere al sapere della città e dei suoi cittadini, ed è per questo importante oggi parlarne anche alla stampa non specializzata. I luoghi non hanno una storia, hanno tante storie e meritano di essere narrate”.

“La piena disponibilità e collaborazione della Provincia – spiega dal canto suo la dottoressa Chiarenza – sta consentendo di portare avanti un’indagine approfondita su vari aspetti di rilevante interesse per la topografia storica e per la società di Lucca dall’epoca tardo antica fino al medioevo e all’età moderna. È di questi giorni il rinvenimento di una strada glareata, databile al IV secolo d.C., messa in luce durante gli interventi in fondazione. Si tratta per ora della testimonianza più antica di frequentazione dell’area, attestazione di quella viabilità esterna alle mura romane che, raccordandosi con il sistema di ‘cardines’ e ‘decumani’ cittadini, garantiva i collegamenti con la campagna circostante e con gli assi viari maggiori”.

La maggior parte dei ritrovamenti va riferita, invece, al complesso conventuale di San Nicolao, documentato all’interno delle mura medievali fin dal XII-XIII secolo. Lo scavo archeologico, infatti, ha riportato alla luce le strutture del primo nucleo del convento, riferibili agli edifici donati dalla potente famiglia lucchese dei Busdraghi alle agostiniane di Santa Maria della Croce. Il confronto fra le strutture messe in luce e la cartografia storica ha permesso di ricostruire l’aspetto dell’edificio in questa prima fase di vita: chiuso entro un alto muro di cinta, si articolava intorno al chiostro centrale a pianta quadrangolare, dotato di portici sorretti da un colonnato; al centro un giardino suddiviso in quattro parti uguali da due camminamenti con pergole disposti a croce. Unica eccezione alla corrispondenza tra documentazione scritta e archeologica è il pozzo, segnalato nelle carte storiche all’incrocio dei vialetti interni al chiostro, e rinvenuto invece nell’angolo sudorientale del giardino, servito da un apposito vialetto perimetrale; a sud del chiostro si estendevano gli orti. L’ingresso all’area monastica avveniva dalla via pubblica, attraverso un passaggio, allineato al camminamento centrale del chiostro di cui è stato riportato in luce il pavimento a ciottoli, delimitato da muretti laterali.

Una quantità e qualità di dati inaspettata, inoltre, sta venendo alla luce dall’ambiente posto a nord est del chiostro, limitrofo alla parte absidale della chiesa di San Nicolao. Qui la rimozione del pavimento ha permesso di scoprire un piccolo vano centrale con botola e tre ambienti paralleli e allineati, di maggiori dimensioni, a pianta rettangolare allungata: si tratta di “sepolture murate”, che hanno ospitato, nel corso del tempo, le salme di individui femminili appartenenti all’istituzione religiosa.  

Il numero di inumati, adulti e infantili, e gli oggetti di corredo permetteranno di ricostruire aspetti inediti del microcosmo femminile nella Lucca del XVII secolo. Tra i resti dei defunti della comunità religiosa le archeologhe della Soprintendenza hanno individuato, grazie ad un’iscrizione, quelli della madre superiora, suor Petronilla Guinigi, della nota e potente famiglia lucchese che ebbe anche un importante ruolo politico a Lucca all’inizio del 1400.

“L’importanza del rinvenimento così come le difficoltà operative per il recupero dei dati – aggiunge la funzionaria Chiarenza – hanno spinto la Soprintendenza ad affiancare la Provincia, subentrando anche come committente per questa sezione di indagine archeologica, in modo da non causare ritardi e disagi nei lavori in corso per il recupero dell’intero complesso”.

Al pieno Rinascimento potrebbero risalire, invece, i resti di alcune peschiere in muratura, costruite lungo il muro perimetrale, così come un piccolo vano sotterraneo, scoperto nell’ala est del chiostro, sotto la grande sala utilizzata come refettorio: l’ambiente, accessibile dalla mensa conventuale attraverso una botola ricavata nel pavimento e una scala in muratura, era utilizzato come cantina per la conservazione del vino, come indicano i resti di pancali per il sostegno di botti rinvenuti lungo le pareti.

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