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venerdì, Novembre 22, 2024

Matteini: “La riduzione del cuneo fiscale è più efficace del salario minimo”. L’assemblea di Confindustria

Dopo l’Assemblea privata che ha visto le elezioni della presidenza di Confindustria Toscana Nord con la conferma ai vertici di Daniele Matteini, oggi pomeriggio si è svolta l’Assemblea pubblica dell’associazione al teatro Bolognini di Pistoia. Il titolo dell’evento era “Fiscalità motore di crescita e di innovazione“: un tema di stretta attualità, dato che lo scorso agosto è stata varata la legge delega per la revisione del sistema tributario ed è quindi in corso il processo che, attraverso i decreti legislativi, dovrà dare operatività alla riforma fiscale.

Ha aperto i lavori il presidente di Confindustria Toscana Nord Daniele Matteini, che ha espresso “un doppio grazie ai colleghi imprenditori: per la loro presenza ma anche per la fiducia che mi hanno dimostrato appena pochi giorni fa nel rinnovare il loro consenso alla mia squadra e a me”. Poi, dopo l’intervento del direttore del Centro Studi Confindustria Alessandro Fontana, si è tenuto un talk che, condotto da Andrea Cabrini di ClassCnbc e Milano Finanza, ha coinvolto il viceministro dell’Economia e delle finanze Maurizio Leo collegato da remoto e il vicepresidente di Confindustria per il Credito, la finanza e il fisco Emanuele Orsini. 

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Pubblichiamo di seguito la relazione del presidente Matteini.

Il tema di questa Assemblea pubblica è fra i più spinosi e complessi che si possano toccare quando si parla di politiche pubbliche. Ma è anche uno dei più importanti, assolutamente centrale anche per le aziende, oltre che per le istituzioni e per i cittadini, e quindi ci siamo sentiti di doverlo affrontare.

Anni fa un ministro della Repubblica dichiarò che pagare le tasse è una cosa bellissima, suscitando indignazione e ironie. Idealmente, c’era del vero in quella affermazione. Idealmente, è bello pensare che il denaro nostro e delle nostre aziende vada a finanziare attività essenziali come la scuola, la sanità, la cultura, la ricerca, la sicurezza, l’insieme dei servizi a beneficio delle persone, delle famiglie e dell’economia.

Idealmente è, o sarebbe, così. Nella realtà però le cose sono ben più complicate. L’indignazione e l’ironia erano giustificate allora e lo sarebbero oggi, se qualcuno si avventurasse in affermazioni simili. I principi fondativi di una sana politica fiscale – l’equità, la ragionevolezza, la coerenza con la capacità contributiva – sono troppo spesso violati, sia nella misura dell’imposizione sia nelle modalità con cui questa si attua, dalla riscossione agli accertamenti, fino alla gestione dell’eventuale contenzioso.

La riforma fiscale, un’opportunità straordinaria

Oggi l’Italia ha un’opportunità straordinaria: approvata lo scorso agosto la legge delega per la revisione del sistema tributario, è partito il processo che porterà ai decreti legislativi che dovranno dare gambe alla riforma fiscale. E’ un evento: l’ultima vera riforma fiscale risale agli anni ’70 e da allora c’è stata una continua sovrapproduzione legislativa, che fra estemporaneità, deroghe e prelievi straordinari ha contribuito a minare alla base la fiducia dei cittadini nella certezza del diritto.

Sarebbe un danno irreparabile se andasse sprecata, anche solo parzialmente, l’occasione che è data al Governo, e quindi al Paese, di realizzare una riforma organica e complessiva che rimetta ordine in questa delicata materia.

Vogliamo sperare che non sia così. Una politica fiscale corretta nei suoi principi ispiratori, nella concretizzazione in norme e nella loro applicazione è veramente, come dice il titolo di questa nostra Assemblea, un driver per la crescita.

Confindustria nelle sue audizioni e nei suoi documenti ha tenuto una linea coerente con le necessità del sistema economico: è fondamentale che le sue indicazioni vengano recepite. Lascio al vicepresidente Orsini i contenuti delle argomentazioni di Confindustria e mi limito ad alcune considerazioni generali e ad aspetti particolarmente sensibili per le imprese del nostro territorio.

Il direttore del Centro Studi Confindustria Alessandro Fontana

Per far crescere il PIL non penalizzare il lavoro

La prima considerazione generale è che bisogna uscire dalla convinzione – magari non espressa, talvolta negata, ma di fatto diffusa – secondo cui la pressione fiscale deve rimanere alta perché il debito pubblico elevato non consente altra soluzione. Se il rapporto debito pubblico/PIL è ormai abbondantemente al di sopra del 140% dobbiamo ricordare sempre che i fattori in gioco sono due e che un modo solido e virtuoso per ridurlo – non l’unico ovviamente, ma quello di cui si parla di meno – è agire sul denominatore, sul PIL.

E chi lo crea il PIL, se non le imprese? E’ il lavoro, il lavoro nostro e quello dei nostri collaboratori, che crea ricchezza, quella vera, quella reale. Ma è proprio il lavoro a essere pesantemente penalizzato sul piano fiscale.

Il rapporto “Taxing Wages 2023” dell’OCSE, riferito al 2022, evidenzia che nel quadro dei paesi europei l’Italia è quinta per entità del cuneo fiscale. Al primo posto c’è un paese strutturalmente molto diverso dal nostro come il Belgio; seconda, terza e quarta, tutte a pochissima distanza dall’Italia, sono Germania, Francia e Austria.

Nel 2022 la quota di reddito dei lavoratori dipendenti italiani che va allo Stato è salita, tra imposte e contributi, di quasi mezzo punto (+0,47%) rispetto all’anno precedente, arrivando a 45,9%, quando la media Ocse è al 34,6%.

Il cuneo fiscale italiano è costituito principalmente dai contributi pagati dall’azienda (il 24% del costo del lavoro), quindi dall’Irpef (15,3%) e infine dai contributi pagati dal lavoratore (6,6%). In queste poco invidiabili classifiche l’Italia detiene anche un record: quello dell’aumento delle imposte sul reddito come quota del totale del costo del lavoro. 

Nel 2022 fra i 38 paesi esaminati dall’OCSE nessuno ha fatto peggio di noi: l’aumento dell’Italia è stato di +1,07%, quando la media dell’area Ocse è di un minuscolo +0,05%.

Riduzione del cuneo fiscale, una rivoluzione ben più importante del salario minimo

In questo quadro ci rimettiamo tutti: le imprese che per i propri dipendenti spendono soldi che in buona parte questi non vedono nemmeno e i lavoratori che fra tassazione e inflazione hanno un potere d’acquisto ridotto, con conseguente ristagno dei consumi.

Ma l’erario, che alla fin fine è patrimonio di tutti noi, almeno l’erario ci guadagna? Apparentemente forse sì; ma così le imprese perdono competitività, si strozza l’economia e quindi il denominatore, il PIL, non aumenta. Il primo obiettivo della riforma fiscale dovrebbe essere quello della riduzione del carico fiscale per imprese e lavoratori, anche con regimi di favore per le misure di welfare aziendale e per i premi di risultato.

La legge delega prevede tutto questo e anche di più, per esempio l’inizio – sia pure troppo timido – del percorso per superare l’IRAP.

Concretizziamo tutto questo e sarà una rivoluzione ben più efficace del salario minimo, per citare l’argomento di maggior attualità per il mondo del lavoro. Un argomento, per inciso, più demagogico che sostanziale, che non scalfisce il problema di fondo del lavoro povero, lascia sostanzialmente invariato il dumping contrattuale e va a minare le dinamiche della contrattazione collettiva.

Semplificazioni e agevolazioni

Torno alla fiscalità. Uno degli obiettivi più interessanti della legge delega è quello di semplificare e razionalizzare i criteri di determinazione del reddito d’impresa, avvicinando valori civilistici e fiscali. Purché questo non diventi un’occasione di ulteriori contestazioni sulla corretta applicazione dei principi contabili, è senz’altro una cosa da fare.

Così come è da fare, in ambito IRES, la riduzione dell’aliquota per la parte di reddito che nei due anni successivi viene destinata a investimenti, nuove assunzioni o alla partecipazione dei dipendenti agli utili; oppure, in alternativa, la maggiorazione degli ammortamenti o la deducibilità dei costi delle nuove assunzioni.

Sempre in tema di benefici fiscali, è opportuno l’indirizzo di rivedere la disciplina sugli interessi passivi, che dovrebbero diventare interamente deducibili, così come le perdite fiscali.

Quello delle agevolazioni fiscali è un tema molto delicato: pena la perdita di competitività delle nostre aziende, bisogna che la riforma vada semmai a potenziare, e non a compromettere, le regole sui crediti di imposta per ricerca e sviluppo, innovazione, design, Industria 4.0. E’ invece già accaduto che addirittura si siano alterate le regole a posteriori depotenziando gli strumenti. Un esempio clamoroso è quello del credito d’imposta per ricerca e sviluppo degli anni 2015-2019: per la ricerca finalizzata all’ideazione estetica e alla realizzazione di nuove collezioni del settore moda le regole sono state cambiate, retroattivamente, nel 2022. Lo dico al viceministro: in questa vicenda sono state violati tutti i principi alla base non solo del fisco ma anche di una corretta relazione fra cittadini e Stato; la certezza del diritto è stata azzerata. Confidiamo che si proceda a sanare questa evidente aberrazione. Non solo: per tutte le imprese interessate al credito di imposta su ricerca e sviluppo 2015-2019, occorre un rinvio del termine del 30 novembre per il riversamento spontaneo, oltre che una veloce attuazione della facoltà di certificazione delle attività ammissibili.

Già le imprese italiane subiscono un’imposizione fiscale elevata: per competere con le loro concorrenti internazionali è necessario che agevolazioni a sostegno di investimenti strategici esistano e siano attivabili in maniera semplice e lineare. Capitoli come Industria 4.0 (sia per gli investimenti materiali che per la formazione) sono stati depotenziati o azzerati; idem per ricerca e sviluppo, innovazione e design, e per gli oneri dovuti a energia elettrica e gas. A proposito di questi ultimi si profila anche, se non ci saranno correttivi, una stretta per l’utilizzo in compensazione dei crediti maturati nel primo e secondo trimestre 2023. Pur essendoci stato il meritorio riconoscimento dello status di energivore per le imprese di nobilitazione tessile, quindi, anche sul capitolo energia e gas non possiamo dirci soddisfatti.

Non è la strada giusta, così come non lo è il permanere della spada di Damocle della plastic tax. Siamo a un altro rinvio, per ora nessuna abolizione. Sembra comunque che l’intenzione di cancellarla ci sia: bene, ci contiamo!

E bisogna che a un livello diverso, quello comunale, vi sia più attenzione nel recepimento della normativa e dei chiarimenti ministeriali sull’applicazione della TARI: devono esserne escluse, lo ricordo, sia per la quota fissa che per quella variabile, tutte le superfici dove avviene la produzione industriale, inclusi i magazzini.

Il vicepresidente di Confindustria Emanuele Orsini (a sinistra) insieme ad Andrea Cabrini di ClassCnbc

Bonus edilizi

Un capitolo a sé è quello dei bonus edilizi. Non voglio entrare nel dettaglio di un provvedimento che ha dei meriti ma anche delle evidenti criticità. Mi limito a invocare nuovamente la certezza del diritto.

Le imprese e i loro committenti si sono avvalsi di una legge dello Stato, non di loro opzioni personali. Per i bonus incagliati di lavori già avviati occorre trovare una soluzione, che sia attraverso Cassa depositi e prestiti come sembrerebbe logico o con percorsi diversi. Altrimenti rischiamo il collasso di un intero settore.

Credito

Un altro collasso lo rischiamo anche, per motivi diversi, con il credito. Già i tassi stabiliti dalla BCE sono una cura che rischia di uccidere il malato, ma la ventilata tassazione degli extraprofitti, rendendo onerosa per le banche la loro funzione di sostegno diretto all’economia, potrebbe contribuire a portarci verso un credit crunch che sarebbe fatale.

L’alternativa della destinazione degli extraprofitti per la capitalizzazione sicuramente attenua i potenziali effetti, ma questo è un tema da gestire con la massima delicatezza.

No a evasione ed elusione

Ma non voglio parlate solo di fiscalità da alleggerire. Io vorrei che fosse anche appesantita, dove ci sono evidenti e clamorose evasioni ed elusioni.

Sacche di questo genere ci sono anche nel nostro territorio. Non è giusto che ci sia chi non contribuisce al bene comune e, nello stesso tempo, esercita una concorrenza sleale nei confronti delle imprese corrette che le tasse, con fatica, le pagano.

Mancano al gettito fiscale, si dice, 90 miliardi solo lo scorso anno. Con 90 miliardi in più potremmo fare tante cose. Anche rendere meno pesante il carico fiscale per tutti. Anche evitare accanimenti verso i contribuenti che magari sbagliano in buona fede e per importi minimi, ed entrano invece in un girone infernale.

La tassa dell’inefficienza del sistema

Ho lasciato per ultima una tassa molto speciale, una tassa in senso non proprio ma metaforico: potrei chiamarla la tassa dell’inefficienza del sistema.

Quando perdiamo tempo e denaro perché una infrastruttura essenziale non esiste o è inadeguata; o perché una pratica che potrebbe essere svolta in un giorno richiede mesi di sofferte trattative con una burocrazia spesso difficile; o perché dobbiamo formarci da soli i neoassunti (quando li troviamo) che escono da scuola con competenze inadeguate; o perché siamo coinvolti in un contenzioso che sconta i limiti del sistema giudiziario; o perché… Gli esempi si possono moltiplicare.

Anche queste, a modo loro, sono tasse. Sono oneri che gravano sulle imprese. E sono tasse metaforiche particolarmente irritanti perché le tasse vere che paghiamo, e che non sono poche, dovrebbero servire proprio ad evitare questi disservizi, a far crescere e qualificare i fattori di contesto.

L’intervento del viceministro Maurizio Leo che si è collegato da remoto

Conclusioni

Sono una persona realista: non mi aspetto che la riforma fiscale produca risultati così clamorosi da rendere il pagamento delle tasse una cosa bellissima. Basterebbe il quadro internazionale difficile – con i nostri mercati in affanno, la guerra, i costi energetici elevati, le tante incognite che abbiamo davanti – a rendere improbabile una metamorfosi del sistema tale da rendere tutti soddisfatti.

Ribadisco però quello che dicevo all’inizio: la riforma fiscale è un’occasione storica che non può andare persa. Il suo contributo al rilancio dell’Italia può essere decisivo. Se poi si trovasse anche il modo di spendere in maniera più efficiente il gettito fiscale, questa sì che sarebbe una cosa bellissima.

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