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venerdì, Novembre 22, 2024

Quel capitale umano che l’Italia non riesce a valorizzare. Un’analisi del rapporto fra economia e istruzione

Qual è l’importanza dell’istruzione e della formazione nell’economia? Un’analisi della situazione sarà pubblicata sul numero di marzo di “Leasing Time Magazine”, il mensile di economia, finanza e cultura diretto da Gianfranco Antognoli. Nell’articolo che riceviamo e pubblichiamo in anteprima – intitolato “Il capitale umano” –  Renzo Ponzecchi evidenzia i ritardi del nostro Paese nella valorizzazione del sapere.

Fu Theodore Schultz, Premio Nobel per l’economia nel 1979, a coniare il termine “Il Capitale Umano” rimasto in seguito il principale contributo alla “Teoria del Capitale Umano” nella moderna scienza economica. Introduce il concetto per la prima volta nel 1960 a St Louis in una conferenza, titolo dell’intervento: “Investment in Human Capital”.

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Schultz è profondamente convinto che il capitale finanziario deve essere attratto, sviluppato e controllato da capaci risorse umane che fanno la differenza in ambiti fortemente competitivi. L’economista americano colloca sullo stesso piano di importanza la cultura aziendale fatta di innovazione tecnologica, fatturazione, capitalizzazione azionaria e gli stessi investimenti sul capitale umano. L’una non può escludere l’altra. Molte nazioni, con importanti interventi statali, hanno importato le attrezzature migliori, ma non hanno creato politiche di formazione a lavoratori e manager. I risultati sono stati molto deludenti.

La riflessione che ne viene di conseguenza è che se persone, società, enti ed istituzioni investono poco sulla loro formazione, qualunque paese in un mondo moderno e fortemente competitivo fallirà, pur avendo i più avanzati strumenti tecnologici. Il loro rendimento è proporzionale alla capacità delle stesse imprese di capire le loro potenzialità tramite la formazione ed altre azioni di sviluppo organizzativo.

 Studi condotti a livello internazionale hanno rivelato che in gran parte dei paesi OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) le persone con un titolo di studio che possa equivalere alla nostra laurea specialistica, guadagnano almeno il 50% in più dei possessori di un semplice diploma. L’Italia sfugge a questa dinamica. Tanti laureati sono sottopagati o costretti a migrare in paesi dove professionalità e parte economica è riconosciuta.

Altro fenomeno italiano ci vede concorrere in una classifica europea sull’abbandono scolastico con paesi come la Turchia, con il 33% di abbandono, il Montenegro con il 28,6%, la Macedonia con il 27,6%. L’Italia è appena sopra con il 25,1%. La Sicilia, insieme a Campania e Calabria registrano un abbandono del 40%. In coda a questi dati viene avanti una considerazione sulle diseguaglianze sociali che condizionano l’accesso ad una istruzione di qualità.

Renzo Ponzecchi

I fattori determinanti nella crescita del capitale umano sono la scuola con le sue risorse educative, il background familiare, i compagni di scuola, il contesto locale. Il primo investitore sul capitale umano rimane la famiglia che tenta con tutte le risorse di cui dispone di dar loro educazione e principi. Se le risorse mancano l’investimento non può essere fatto o fatto solo parzialmente. L’importanza delle istituzioni nel loro ruolo economicamente sussidiario a chi viene riconosciuto il “merito” e in modo indiretto a tutta l’economia del paese, è fondamentale.

Questo capitale si assottiglia sempre di più. Fenomeni come la denatalità, che toglie la materia prima, l’abbandono scolastico, la migrazione di chi è già formato professionalmente, vanno ad inceppare il motore produttivo del paese. Una nazione con una popolazione istruita aiuta la crescita del paese rendendolo più produttivo. Porta dignità alla figura del dipendente che non è più considerato “sostituibile” come una macchina, ma diventa una preziosa risorsa nelle politiche aziendali. Più istruzione, più attenzione ad un corretto stile di vita che aiuta a prevenire malattie. Più una società è sana, più è produttiva.

Concludo con una frase di Gary S. Becker vincitore del Premio Nobel per l’economia nel 1992, “Il successo dipende dalla capacità di una nazione di utilizzare la sua gente: se una quota significativa della popolazione viene trascurata, qualunque nazione fallirà nel mondo moderno, per quanti macchinari possieda”.

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