Da ragazzo ho abitato a Ponte a Serraglio, in Provincia di Lucca. Un giorno passando davanti ad una porticina che avevo sempre visto chiusa, la trovai aperta con dentro un uomo chinato su di un bancone con all’occhio qualcosa che doveva essere un ingranditore. Trascorsero i giorni e dovendo passare davanti a quella porta, ora sempre aperta, dovetti scendere dal marciapiede perché occupato da alcune persone in attesa di entrare. Allora mi venne in mente che mia zia Eva, oltre che pianista dilettante, fissata con la precisione degli orologi doveva sapere qualcosa di quest’uomo capitato fra noi insalutato ospite. “E’ un bravissimo orologiaio che qui non c’è mai stato. Gli ho portato due miei orologi che andavano sempre uno avanti e l’altro indietro, e ora vanno con precisione assoluta. Speriamo che faccia affari perché se lo merita”.
Questa, grosso modo ed a quanto mi ricordi, fu la sua risposta. Passò altro tempo ed un giorno vidi non solo chiusa questa porta, ma addirittura sbarrata da due tavole incrociate. Del fatto mi ricordo che informai la stessa zia che era diventata cliente abituale per la sua fissazione per gli orologi. Alle mie parole essa mi guardò con due occhi spiritati e intrisi di rabbia. “Ma lo sai che quello era uno sporco ebreo e io che mi ero fidata di lui!”. Al momento non capì il senso di questa astiosa risposta, che poi mi venne spiegata con il fatto che erano entrate in vigore le leggi razziali contro gli ebrei. Quindi spiegato l’arcano. Infatti la mia zia Eva era una convintissima e fervente fascista, una delle prime ad iscriversi al fascio a Bagni di Lucca.
Dal libro “La questione ebraica in provincia di Lucca – e il campo di concentramento di Bagni di Lucca” di Virginio Monti (edizione “Tra le righe – libri”) che fra l’altro comprende una folta documentazione di lettere, bandi, comunicazioni e imposizioni da parte delle allora vigenti autorità – si apprende che in data 12 dicembre 1941 il comune di Bagni di Lucca dové compilare l’elenco degli stranieri di razza ebraica arrivati nel comune e considerati internati. Si trattava di tredici persone, più altre quattro non incluse di cui si apprende nel volume (due adulti e due ragazzi). Ma la notizia che mi ha fatto addirittura sorprendere è stata quella ampiamente descritta che a Bagni Caldi – piccola frazione collinare fra la Villa e il Ponte dove insistono gli stabilimenti termali – il Grand’Hotel delle Terme, sequestrato dai tedeschi, era diventato centro di raccolta sia degli ebrei presenti sul territorio che dei partigiani catturati sulle montagne circostanti la Val di Lima. I primi per poi essere trasportati nel campo di concentramento di Fossoli in Emilia, e da qui verso i Lager di sterminio in Polonia. Gli altri verso la fucilazione al muro del cimitero di Ponte a Serraglio.
Fra gli ebrei che vennero prelevati a Ponte a Serraglio in quell’elenco c’era certamente quell’orologiaio di cui non sapevo il nome, ma che dopo essere stato esaltato per come esercitava il suo mestiere, era di punto in bianco diventato un “porco” per essere soltanto ebreo. Solo di recente siamo venuti a conoscenza che tutti gli internati nel “Gran’Hotel delle Terme” – ora ridotto ad un rudere nella parte alta di Bagni Caldi – furono fatti scendere incolonnati fino alla piazza di Ponte a Serraglio per poi essere fatti salire sui soliti camion tedeschi di infausta memoria.
Capisco che coloro che non hanno vissuto quei giorni abbiano difficoltà a comprendere l’autentico senso del “Giorno del ricordo”, ma per chi come me è stato protagonista passivo di un periodo di tempo da “far tremar le vene e i polsi”, esso acquista una valenza assolutamente importante. Anche se col trascorrere del tempo diventa sempre più sfumato, a meno che un libro come quello citato all’inizio, non ti riporti in un lampo a cose e fatti rinchiusi in un cassetto della memoria.
Mario Pellegrini