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mercoledì, Novembre 13, 2024

Il diario di un anno da direttore: torna in libreria “Il manicomio di Pechino”, l’ultimo libro di Mario Tobino

“Per oltre un anno fui responsabile di ogni movimento della follia nel manicomio. Tentai di essere suo cavaliere, accompagnarla nelle lente danze, nei balli vivaci, in quelli furiosi” (Mario Tobino).

Pubblicato per la prima volta nel 1990, un anno prima della sua scomparsa ad Agrigento per ricevere il “Premio Pirandello” (11 dicembre 1991), “Il manicomio di Pechino” (Oscar Mondadori) è l’ultimo libro di Mario Tobino uscito in libreria. In verità si tratta di un diario scritto fra il 1955/56 quando l’autore, pure provvisoriamente, era stato nominato direttore del manicomio di Fregionaia, un colle di Maggiano, nell’attesa del ritorno del titolare. Quindi niente della sua professione di psichiatra, ma di un responsabile unico di una struttura complessa che oltre ai ricoverati dei due sessi, c’erano ovviamente altri due medici, centinaia di infermieri, anche questi di ambo i sessi, il personale dell’amministrazione e quello di guardia.

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Un anno quindi in cui il medico-scrittore ha dovuto temporaneamente abbandonare la sua vena letteraria per diventare un vero e proprio manager. Un incarico che, leggendo il libro, ha svolto con passione e con ottimi risultati, pur combattendo con la burocrazia e la politica di quel tempo che considerava il manicomio ed i suoi ricoverati da contenitore di seconda categoria, cioè per i “matti” e non per malati da curare con passione e attenzione, come ha sempre fatto il medico Tobino nei suoi oltre 40 anni di presenza ininterrotta in manicomio.

Fatta questa doverosa premessa e detto che il nome di “Pechino” si riferisce ad una città lontanissima in quanto nel 1990 i manicomi non esistevano più per via della legge Basaglia, ci preme mettere in evidenza che il diario contenuto nel libro – pur scritto quasi tutto nelle ore notturne e alla fine di giornate intense di lavoro, di preoccupazioni e soprattutto di scontri con le autorità amministrative del momento. Il manicomio di Maggiano, uno dei più importanti d’Italia, dipendeva infatti dalla Provincia, per cui di fronte alle necessità dell’indispensabile ammodernamento della struttura, dell’acquisto di nuovi macchinari e della costruzione di nuovi padiglioni, si doveva scontrare con l’ottusità non solo di chi non aveva mai messo piede nell’ex-convento dell’Ordine dei Lateranensi, quelli – per intenderci – di Santa Maria Bianca a Lucca, ma anche perché c’era di mezzo dei “matti”.

Ovviamente le considerazioni pratiche di un autentico direttore sono intercalate da molti autentici pensieri di un uomo che vola alto sulle passioni di ogni giorno, come la preparazione e il risultato del presepe – vinse addirittura il concorso diocesano del Natale 1955 – e la festa del Corpus Domini con processione negli spazi circostanti la struttura. Per questo “Il medico di Pechino” si legge senza soluzione di continuità fino alla conclusione quando scrive: “Allora, diario, addio. Spero di avere in te illuminato un punticino dell’Italia, della sua storia, durante gli anni 1955-1956. Addio”.

Dedicato “alle infermiere e agli infermieri del manicomio che si dedicarono alla conoscenza dei ricoverati e dimostrarono la nobiltà della stirpe lucchese”, “Il manicomio di Pechino” è un libro in cui si evidenzia non soltanto la passione e l’autentica professionalità di un medico che ha dedicato tutta la sua vita alla cura dei “matti”, ma l’autentica verve narrativa di uno dei più autentici scrittori della seconda metà del secolo scorso in un diario che non è soltanto didascalico – come deve essere un diario – ma che in ogni parola rivela la sua missione in un contesto umano “in cui tentai di essere suo cavaliere, accompagnarla nella lenta danza, nei balli vivaci, in quelli furiosi”, come si legge in uno dei suoi ultimi giorni come direttore. Un testamento o una lapide? Se lo domanda la professoressa Valeria Paola Babini nella prefazione del libro la cui nuova edizione sarà in distribuzione dal 28 novembre prossimo. Ai lettori l’ardua risposta.

Mario Pellegrini

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