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venerdì, Novembre 22, 2024

Leone Sbrana, un uomo del “secolo breve” tra letteratura e politica dopo la Resistenza e la prigionia nei lager

Riceviamo e pubblichiamo in anteprima un articolo di Niclo Vitelli sulla figura di Leone Sbrana che sarà pubblicato sul prossimo numero di “Leasing Time Magazine”, il mensile di economia, finanza e cultura diretto da Gianfranco Antognoli.

Nel mese di giugno del 1975 moriva Leone Sbrana. Viareggio non è mai stata granché riconoscente nei confronti dei propri talenti o dei propri uomini migliori. Molti di essi hanno avuto riconoscimenti postumi: qualcuno ancora li sta aspettando! E proprio per questo che sollevare per tempo la questione forse potrà suggerire e rendere pertanto più facile qualche iniziativa anche a carattere nazionale. Leone Sbrana, per quanto abbia voluto rimanere legato al suo territorio, alla sua città, alla sua provincia ha una interessante dimensione che va ben oltre il locale. È per questo che mi è sembrato giusto dedicare a lui e al suo ricordo questo articolo.

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Leone Sbrana è un significativo uomo del “Secolo Breve” per citare il libro dello storico Hobsbawm: nasce a Viareggio nel 1912, da ragazzo si occupa del settore del marmo; segue un percorso autonomo di formazione culturale e si iscrive al PCI nel 1935, nel pieno della clandestinità; è schedato nel casellario politico centrale di Roma come antifascista già dal 1931; viene richiamato alle armi e con l’armistizio viene fatto prigioniero dai tedeschi sul fronte greco; vive una personale, drammatica esperienza nel lager di Thorn prima e poi in quello di Arbeitslager, nell’Alta Slesia, dove vi rimane per due lunghissimi anni, prima della liberazione da parte dell’esercito russo; intraprende un intenso impegno politico e culturale – corrispondente de l’Unità, collaboratore della Direzione Nazionale del PCI, segretario del Premio Viareggio; animatore e tra i fondatori della manifestazione “La Fiera del Libro”; scrittore e giornalista; consigliere della Provincia di Lucca dal 1965 fino al 1975.

In questi giorni abbiamo ascoltato frasi pronunciate da alti rappresentati dello Stato, tra cui quelle da parte della seconda carica istituzionale – il Presidente del Senato Ignazio La Russa – che fanno rabbrividire. Così come rabbrividire, sconcertare e protestare fanno le continue revisioni della storia da parte di rappresentanti pubblici e suonano proprio un’offesa a quegli uomini che hanno dato un contributo decisivo a liberare il nostro paese e a fondare una Repubblica democratica e antifascista.

Ecco, Leone Sbrana è uno di questi. Quegli uomini che, in condizioni difficili, hanno osato testimoniare i loro convincimenti hanno avuto il coraggio di ribellarsi contro un regime oppressivo, violento e illiberale e sognare un futuro di rinascita per l’Italia. In questo mese si celebrerà la festa nazionale del 25 aprile, la Festa della Liberazione. Sul dizionario Treccani liberazione ha questo significato: “L’atto, il fatto di liberare, di liberarsi o di essere liberato da una soggezione, da un male, da un vincolo, da un controllo, etc… anche da ciò che opprime moralmente e spiritualmente o socialmente per il riconoscimento dei propri diritti quando non erano o erano solo parzialmente riconosciuti…”.

Il dizionario prosegue con il significato specifico di Liberazione: “la fine dell’occupazione tedesca e la caduta dei governi collaborazionisti, nei vari paesi nel corso della Seconda Guerra Mondiale, per le vittorie degli alleati e l’azione dei partigiani”. Per gli uomini come Leone Sbrana, Liberazione non aveva soltanto il valore di togliersi definitivamente di dosso la rete perversa e crudele dell’oppressione, ma anche quello di indicare un futuro nuovo, diverso, radicalmente alternativo: quello delle libertà, di una nuova Repubblica che sapesse ispirarsi e fondarsi su valori antitetici a quelli da cui ci si era liberati. In Sbrana, così come in altri uomini come lui, non c’era soltanto il senso di un atto di chiusura drastica con il passato ma anche quello del costruire un nuovo futuro e un diverso avvenire, per il Paese, per i lavoratori, per tutti i cittadini.

Leone Sbrana è stato un protagonista diretto della costruzione di quello che Ezio Mauro, in un recente editoriale di Repubblica, ha chiamato “senso comune” nel quale si sono riconosciute e si riconoscono le grandi culture politiche della storia nazionale: dal solidarismo cristiano al progressismo al liberalismo. Proprio quel “senso comune” è oggi bersaglio di una campagna di marginalizzazione, di riduzionismo e di revisionismo non solo pericolosa in sé, proprio perché tende a nascondere e ad occultare i fatti storici reali ma, di più, pericolosa perché si propone proprio di aprire la strada ad un processo di progressivo svuotamento delle attuali Istituzioni.

Leone Sbrana nel 1964 esce dal Premio in aperta polemica con il suo Presidente Leonida Repaci e, successivamente, pubblica il libro “Il Premio” che narra proprio le vicende e i retroscena della manifestazione. Il Premio Viareggio, del resto, non ha mai smesso di suscitare polemiche e dibattiti, come è successo anche recentemente. Il “Viareggio”, che nasce da un fecondo incontro tra i più importanti intellettuali del dopoguerra e cerca di mantenere una forte autonomia e libertà, si muove infatti sui terreni scivolosi e non sempre agevoli del rapporto tra cultura e politica, tra le case editrici, gli scrittori ed i lettori. Struggente è il racconto autobiografico della prigionia “Giorni che sembrano anni”, così come di grande umanità e di intelligenza è tutto il lavoro che Sbrana mette in campo per valorizzare l’esperienza della Resistenza, con particolare riferimento alla terra lucchese e con particolare attenzione verso i giovani (si ricorda il libro “Viareggio momenti di storia e di cronaca” in cui si narrano importanti episodi dell’antifascismo e della resistenza locale).

Sbrana è autore di numerosi racconti per ragazzi, tra cui “Il mozzo del Guglielmo”, “Scarpe per bambini”, “Antenore il delfino”, “Pesci come noi”, “Il pane dei serpenti”, “Napoleone”. Ancora oggi, che pure abbiamo chiuso il capitolo del “Secolo breve”, sarebbe importante che le Istituzioni Pubbliche e culturali si impegnassero a far conoscere questo straordinario uomo, a ripubblicare e diffondere alcune tra le sue opere più significative ed anche, più strettamente sul piano locale, a ricostruire attraverso i suoi interventi ed il suo lavoro presso la Provincia di Lucca, il percorso dell’impegno politico e civile. Sarebbe peraltro un contributo a rendere le celebrazioni del 25 Aprile meno formali e più attente, invece, alla necessità di non disperdere quel grande patrimonio costruito negli anni da tanti uomini, lavoratori, intellettuali, donne e giovani come Leone Sbrana, a cui la nostra Repubblica democratica e antifascista deve moltissimo: soprattutto in questo momento nel quale è sottoposta ad una subdola e insidiosa campagna di snaturamento.

Abbiamo scelto alcuni brani dal libro “Il premio” in cui Leone Sbrana parla del riconoscimento del Premio Prato al suo libro “Giorni che sembrano anni” (il racconto della liberazione dal lager nazista e del suo rientro in Italia). È suggestiva la semplicità e al tempo stesso l’intensità e l’umanità con la quale Sbrana ricorda quei momenti: “…La tensione antifascista in tante città, oltre la mia inattività protrattasi assai, deve aver influito pure sulle case editrici. Da pochi giorni i libri arrivano a mucchi, come se gli editori, tutti assieme, avessero tirato un sospiro di sollievo… Stamani tra gli altri, un pacco dell’editore Parenti ha riempito di gioia il segretario del premio. Ho capito subito che era il mio libro di prigionia. Istintivamente, direi, anche se il pacco era più piccolo degli altri… Genova e il mio libro di prigionia. Ecco due energetici per ritornare a prodigarsi per il premio che anche quest’anno sta per avvicinarsi al suo tradizionale approdo…”.

“Con grande piacere leggo le recensioni del mio libro sul Lager. Una dietro l’altra dicono un gran bene delle mie pagine. Proprio non immaginavo tanta benevola accoglienza. Tramite un giornale, un periodico, una lettera, note personalità dell’arte, della cultura, della politica hanno una parola di plauso per ‘Giorni che sembrano anni’. Giacomo Debenedetti, Giuseppe Ungaretti, Giovanni Grazzini, Walter Mauro, Niccolò Gallo, Mario Alicata, Francesco Grisi, Marcello Venturi, Ugo Moretti, Michele Rago, Alfredo Schiaffini, Davide Lajolo sono i primi a dire bene del mio libro… Proprio sono felice. Non mi aspettavo tanto. Persino da Varsavia, un italianista polacco, Zbiniew Zawadski, mi scrive una lusinghiera lettera. Intanto sta per uscire anche ‘Racconti nuovi’, l’antologia per ragazzi da me curata con la Rinaldi. È un bel volume che fa onore anche all’editrice che l’ha stampato. Ecco un altro ottimo frutto che compensa una lunga fatica!…”.

“Nel piccolo albergo di Barga oggi il telefono ha suonato per me. Stavo leggendo i giornali sotto un cedro del Libano in quell’oasi, che è uno dei pochi pregi del vetusto e dimesso alberguccio, quando la ragazza dell’albergo è venuta a chiamarmi. Erano Arando Meoni e Silvio Micheli. Lo scrittore pratese e quello mio conterraneo mi hanno comunicato che avevo vinto il premio Prato con Fenoglio e Sciascia. E che ero atteso a Prato il giorno dopo. Ho pronunciato poche confuse parole nel cornetto del telefono. Non ricordo di esse se non un ripetuto grazie. Ecco la stessa commozione di quando la mia bimba mi aveva porto con la sua piccola mano la prima copia del mio libro di prigionia. Per tanti anni avevo detto col telefono a decine di scrittori: lei ha vinto il premio; si metta in viaggio e venga a prenderlo. Ora, quasi direi con le stesse parole, veniva detta a me la stessa cosa da due validi scrittori. C’era di che inorgoglirsi specie se pensavo che la giuria del ‘Prato’ mi aveva messo in compagnia di due scrittori della tempra di Fenoglio e di Sciascia. Meritavo davvero questo? Mah… Non sapendo su chi versare un po’ della mia gioia, dopo la breve conversazione telefonica, a tavola, avevo offerto una bottiglia ai miei occasionali compagni di mensa; un cieco di guerra e un grande invalido come me…”.

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