Riceviamo e pubblichiamo in anteprima un articolo di Adolfo Lippi – giornalista, scrittore, regista tv – che sarà pubblicato sul prossimo numero di “Leasing Time Magazine”, il mensile di economia e finanza diretto da Gianfranco Antognoli.
Giacomo Puccini è, nella memoria, universale. A cent’anni dalla morte viene celebrato in Italia, in Giappone, negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, a Vienna, ovunque. Perché con la sua vita, il tema delle sue opere, la musica ha saputo e sa parlare al mondo.
La vita, in tutte le tante biografie, è spettacolare, hollywoodiana. Unico maschio, orfano, in una famiglia di tutte femmine, sconfinò presto a Milano e qui frequentò assai la scapigliatura milanese che voleva dire non adeguarsi al patriottismo della borghesia emergente ma cercare strade nuove, accostarsi a intellettuali come lo scatenato e progressista Arrigo Boito, al librettista Ferdinando Fontana e produrre Le Villi che fu subito un successone (18 chiamate in palcoscenico).
Puccini rubò la moglie a un mercante lucchese, si accasò accogliendo un altro compositore, Mascagni, e divenne per Giulio Ricordi, il ras degli impresari, “l’uomo nuovo”. Poi con Manon fece fortuna e quattrini, tanti, comprò il villone a Torre del Lago e prese a vivere in modo disinvolto, da superuomo. Non rassomigliava a poeti familiari quali Giovanni Pascoli o Giosuè Carducci. Era nietzschiano nelle scelte, furente nelle passioni. Visse giornate di fuoco, nel privato e nel pubblico, un po’ come D’Annunzio, anch’egli dominatore a fine secolo. Ebbe dunque, Puccini, tante amanti, donne di prestigio, come l’inglese Sybil o la baronessa austriaca Josephine von Stengel o semplici studentelle come la piemontese Cori (che voleva perfino sposare).
Per le audaci scelte amorose fu implicato in scandali clamorosi, come per il suicidio della servetta torrelaghese Doria. Ma rimase per l’intera esistenza accanto alla nervosissima matriarca Elvira che per la gelosia gli ispirò Tosca. Puccini viaggiò tantissimo, fu in Europa, andò nelle Americhe, in Egitto. Era attratto dalla ricchezza smisurata dei miliardari americani che avevano appesi alle pareti di casa quadri di Rembrandt o Holbein. Vendette perfino a uno di loro un autografo del valzer di Musetta e coi soldi guadagnati comprò un rombante motoscafo.
I motori furono la sua continua tentazione. Comprò ben 18 automobili. Fu suo il primo “Van” costruito dalla Lancia e per un incidente in strada rischiò una gamba che gli venne ingessata a Lucca. Aveva, dicono, anche la febbre del mattone. Acquistò case a Lucca, a Chiatri, a Torre del Lago, a Viareggio dove si trasferì in età anziana, Insomma, relativamente all’epoca, era e fu davvero un uomo da prime pagine, insignito a Senatore a Vita, cercato dai re e dalle principesse, fu straziato alla fine da un cancro in gola che gli provocò una morte con funerali straordinari a Bruxelles, a Milano, a Torre del Lago.
Ma in tutto questo spericolato esistere, Puccini restò sempre un minuzioso schiavo del pianoforte, perfezionista esigentissimo. Ciò che i temi delle sue opere ancora esprimono è la pervicace caparbia coerenza ad un unico grande tema, l’amore. Dalla prima all’ultima delle sue bellissime composizioni, Puccini tratta l’amore, l’amore tragico, l’amore passionale, l’amore esaltante, l’amore geloso, l’amore che trionfa sul potere (Turandot). Non segue il tragitto nazional-patriottico che da Verdi condusse, con l’esaltato “inno di Mameli”, al colonialismo e al fascismo. No. Puccini canta e decanta figure minori, marginali, prostitutelle, geishe, sartine, soprattutto e sempre la femmina che per quei tempi davvero maschilisti era una rivoluzione.
Questa scelta di temi lo rese e lo rende però universale poiché il messaggio dell’amore raggiunge tutti i popoli, tutti i ceti. Eppoi i suoi libretti spaziano dalle strade di Parigi (La bohème) al Giappone (Madama Butterfly), agli Stati Uniti (La Fanciulla del West), a Pechino (Turandot). Soltanto in Tosca e Gianni Schicchi riecheggia l’Italia. E dovette accadere il regime fascista per fargli scrivere “L’inno a Roma” che compose con poca voglia.
Per ciò che riguarda la musica, Puccini, fin da ragazzo, si immerse nella creatività e nel mestiere raffinatissimo dei maestri tedeschi, da Beethoven a Wagner. Giulio Ricordi lo mandò giovanissimo in Germania e spesso, già celebre, vi tornò come tornò spessissimo a Vienna (vi aveva un amante) mentre l’Italia era in guerra contro l’Austria-Ungheria, tant’è che venne perfino accusato di essere una spia.
In un tempo, tra la fine dell’Ottocento e il Novecento, quando ancora la società era ristretta e patriarcale, Puccini cavalcò invece la modernità nei costumi, negli acquisti (dalle moto alla radio), nelle creazioni artistiche. Ecco perché al centenario dalla sua morte gli si attribuiscono onori. Puccini fu, è universale. Una gloria che supera i confini di un territorio geografico, politico, morale.