“Non ci dicemmo mai che eravamo amici”. Così inizia il libro “Tre amici” di Mario Tobino che per la prima volta uscì da “Mondadori” nel 1988 e l’ultima negli “Oscar” della stessa editrice nel 2014. Si tratta di un’opera di cui sempre si è parlato poco, forse perché esula dai due classici filoni narrativi del medico scrittore – Viareggio (dove è nato) e il vecchio manicomio lucchese di Maggiano (dove ha vissuto per circa 40 anni come medico-psichiatra), ma che senza alcun dubbio è l’opera più sofferta perché rievoca la storia di Aldo Cucchi e di Mario Pasi, entrambi conosciuti a Perugia per l’esame di stato e con i quali l’amicizia fu rinvigorita a Firenze nel 1937 al corso allievi ufficiali medici. Il primo ha partecipato in prima persona alla Resistenza nella sua città di Bologna, compiendo numerose pericolose azioni di guerriglia urbana nei confronti dei nazisti e uscendone illeso. Tanto è vero che nell’immediato dopoguerra gli fece subito visita a Maggiano per poi raggiungerlo a Bologna, continuando a raccontargli le sue esperienze di partigiano combattente e comunicandogli la tragica storia di Mario Pasi, anch’esso capo partigiano nel Veneto che, catturato dai nazisti subì ogni sorta di sevizie tanto da essere, già morto, impiccato insieme ad altri.
Ecco, in sintesi, la storia di “Tre amici” in cui, sulla base di quanto raccontatogli da Aldo Cucchi, Mario Tobino rievoca indirettamente la sua amicizia in modo stringato, come è sua abitudine, ma quanto mai sofferta e partecipe, tanto da immedesimarsi sia nella pericolosa ma quanto mai convinta lotta partigiana del primo, che nella lunga sofferenza del secondo alle torture del tenente Karl che mai riuscì ad estorgliergli il nome dei suoi compagni. Una vicenda quindi del tutto anomala nella storia letteraria del Nostro, perché se la trama de “Il clandestino” sulla Resistenza in Versilia – pur partecipandovi indirettamente – è vissuta come in uno specchio, qui domina la partecipazione umana ad eventi che hanno caratterizzato la lotta di Liberazione e dell’immediato dopo-guerra. Infatti pur narrando eventi estranei alla sua vita è come li avessi vissuti personalmente. Quindi con quell’immediatezza e quella maniera inconfondibile di narrare i fatti che fa di Mario Tobino uno scrittore del tutto anomalo nella storia della letteratura del secondo ‘900.
E quando Mario Tobino fu chiamato da Bologna per informarlo che nell’ospedale della città il Turri era morto per collasso cardiaco, fu una corsa per il capoluogo emiliano per essere presente alla Certosa per i funerali dell’ “amico”, il libro termina con queste testuali parole “Anche Turri se ne era andato. Eravamo tre amici. Ero rimasto solo. Mi domandai se ci saremmo rivisti”. Poche parole per una perdita incolmabile, ma con la speranza – impossibile – di ritrovarsi un giorno per suggellare un’amicizia che, salda come una roccia, aveva avuto modo di forgiarsi in gioventù prima della guerra.
“Tre amici”, dunque, è un libro di sofferenza interiore per dei fatti che riguardano l’autore soltanto indirettamente, ma che lo rendono partecipe per un’amicizia radicata nel comune modo di pensare e di agire in un’Italia che finalmente stava ritrovando lo spirito giusto per ricominciare da capo. A dieci anni dalla sua ultima uscita in libreria, questo libro è ancora capace di presentarsi come una testimonianza di vita vissuta in un contesto che si spera non possa ripetersi. Ecco perché andrebbe ristampato in un periodo come il nostro in cui la deriva potrebbe essere dietro l’angolo.
Mario Pellegrini