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giovedì, Settembre 19, 2024

La storia di don Libero Raglianti, il parroco di Valdicastello torturato e ucciso dai nazisti a Nozzano

La scuola elementare di Nozzano, ormai da tempo tornata alle funzioni cui era stata destinata, nel 1944 – ottanta anni fa – fu trasformata in prigione e luogo di tortura da parte del comando tedesco delle SS che vi aveva posto il suo comando. E qui fu rinchiuso don Libero Raglianti, pievano di Valdicastello, dopo che gli stessi uomini (si fa per dire) che avevano compiuto la strage di Sant’Anna di Stazzema, ve lo avevano condotto a piedi dopo un lunga marcia. Qui vi fu infatti rinchiuso per 16 giorni nel corso dei quali venne sottoposto ad ogni forma di tortura in quanto “Bandito che ha attentato alle truppe tedesche”: così fu infatti definito questo sacerdote e così gli fu scritto sul corpo dopo essere stato abbattuto a colpi di mitra sopra una buca a Laiano di Filettole. Sfinito, ma ancora e sempre sereno nel cuore e nello sguardo, fu trucidato per terra, perché impossibilitato a reggersi in piedi.

Nativo di Cenaia, era stato ordinato sacerdote il 10 luglio del 1938, e per due anni fu cappellano a Pontedera per poi, a partire dal 4 agosto 1940, diventare pievano a  Valdicastello. E qui rimase – come si è detto – fino al pomeriggio del 12 agosto 1944, giorno dell’eccidio di S. Anna di Stazzema. E furono quattro anni di vita autenticamente nuova per la comunità parrocchiale, perché don Libero Raglianti era uomo d’azione nonché spirito aperto. Senza dubbio fu un prete che per molti versi anticipava i tempi. Che mal tollerasse il regime fascista, i parrocchiani l’avevano intuito da tempo, ma l’intuizione ebbe a trasformarsi in convinzione (già maturata attraverso un comportamento che non lasciava spazio al dubbio) quando don Libero Raglianti, prendendo spunto dal motto radiofonico di Mario Appelius “Dio stramaledica gli inglesi”, dichiarò apertamente che “Dio non poteva far ciò che era contrario ai suoi insegnamenti di principio”. E questo nel corso di una veemente omelia che per più di mezz’ora tenne dal pulpito della chiesa al cospetto di una folla attonita e, sotto molti aspetti, intimorita.                                    

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Dal momento in cui Valdicastello si trasformò in un centro di raccolta degli sfollati dal litorale, l’azione di don Libero Raglianti divenne addirittura spasmodica, perché alla cura della parrocchia si aggiunse l’assistenza per i nuovi venuti, e soprattutto quella ai patrioti che agivano nella zona. E per la salvezza di tutti sarebbe stato pronto a morire, come spesso soleva ripetere dall’altare. E così è stato. Perché insieme ad una trentina di persone fu costretto ad uscire dal paese per quella strada in cui quattro anni prima gli stessi parrocchiani l’avevano accolto festanti come nuovo pievano. Ma quella che per gli altri doveva essere una lunga ed estenuante marcia verso la “Pia Casa di Beneficenza” di Lucca – centro di raccolta di tutti i rastrellati della provincia – per lui si doveva interrompere alle scuole di Nozzano, da cui si veniva fuori soltanto per essere trascinati davanti al plotone d’esecuzione.

Disfatto nel fisico, ma non nel morale, don Libero Raglianti ebbe qui a sopportare ogni sorta di sevizie e di umiliazioni fino a che il 29 agosto – ormai ridotto in condizioni pietose – venne eseguita quella condanna a morte che per lui non fu altro che la definitiva liberazione dalla sofferenza. Sofferenza, comunque, che aveva sopportato con cristiana rassegnazione e fermezza d’animo, soprattutto con lucidità di mente, tanto da invocare sul proprio corpo le torture che i carnefici praticavano ai suoi compagni di prigionia. Al momento della fucilazione sudore e sangue rigavano il suo volto emaciato e tumefatto dalle percosse, ma il suo sguardo era an-cora limpido e sereno; fedele specchio di un’anima che nemmeno l’odio più spietato e brutale aveva piegato al suo volere.

Mario Pellegrini

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