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venerdì, Novembre 22, 2024

Il “Santo Curatino di Viareggio”, una figura dimenticata. Un impegno esemplare nell’assistere i parrocchiani

Al di la di ogni ricorrenza ufficiale, ci sembra doveroso fare memoria di un personaggio – più unico che raro – che durante la sua lunga permanenza a Viareggio si seppe fare apprezzare persino da un’Amministrazione comunale tutt’altro che ben disposta verso la Chiesa. E questo a prescindere dall’ammirazione di una popolazione che ben sapeva quanto doveva essere grata a quel minuto frate dei Servi di Maria che qui era venuto da Poggiole di Vernio come curato della Parrocchia di Sant’Andrea. Ovviamente stiamo parlando di Sant’Antonio Maria Pucci. Cioè di colui che è passato alla storia della città come il “Santo Curatino di Viareggio”.

Ma oggi, quasi per provocazione, ci domandiamo e domandiamo: chi era costui? Infatti, in una città disincantata e distratta come la Viareggio d’oggi, fare oggi memoria di quel piccolo-grande uomo che al secolo si chiamava Eustachio, nato a Poggiole di Vernio il 16 aprile 1819 e poi per quarantotto anni alla guida della parrocchia di Sant’Andrea, ci è sembrato quanto meno opportuno, visto e considerato che il 12 gennaio 1892 vi moriva in una cella del convento dei “Servi di Maria” in via Sant’Andrea. E ricordare in questa occasione il “Santo Curatino” è anche come andare alla ricerca del tempo perduto, quando la città era soltanto un borgo in cui i suoi abitanti erano – a parte la componente femminile – marinai, maestri d’ascia, calafati e “terrazzani”, cioè quelli che non andava per mare. Fu infatti Papa Giovanni XXIII – dopo che Pio XII lo aveva beatificato il 15 giugno 1952 – che dieci anni dopo lo volle elevato alla gloria degli altari per le sue virtù, la cui descrizione la lasciamo alle parole che monsignor Bruno Tommasi, allora Arcivescovo di Lucca, pronunciò in occasione del centenario della sua morte, avvenuta come già detto il 12 gennaio 1892.

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“Ciò che colpisce nella figura e nell’opera del Santo Curatino è, al tempo stesso, il sacerdote pienamente tradizionale, rispondente cioè ai canoni della spiritualità, e la sua marcata modernità. Potremmo dire che nel Curatino di Viareggio ci viene offerta e specchiata la figura del pastore al di sopra del tempo, di ogni tempo. Cioè a dire la figura del pastore inteso come sacerdote consacrato e inviato incontro al popolo e il suo inserimento immediato e partecipe nella vita della parrocchia. Cosa tanto più importante e significativa se si pensa che non era viareggino, e nemmeno della nostra Arcidiocesi, ma nativo di Poggiole di Vernio, e quindi espressione di una vita e civiltà contadina e montanara che non aveva nulla da spartire con quella marinara di Viareggio… Della sua gente il Curatino ha vissuto tutti i drammi, anche e principalmente durante l’imperversare del colera che dal 1854 al 1856 mise a dura prova la popolazione di Viareggio. Ma a contraddistinguerlo sono soprattutto le testimonianze di carità perché niente di quello che aveva o gli veniva donato rimaneva più di tanto alla sua persona, ma dato ai poveri che allora, come del resto oggi, non mancavano”.

Il manifesto funebre del Santo

E questa, in particolar modo, ebbe ad essere la santità del “Curatino” che, come dissero altri, “fece bene tutto ciò che doveva fare ogni giorno”. Di conseguenza niente episodi eclatanti, ma soltanto un’umile presenza in una Viareggio in fieri dove la povertà era evidente in ogni angolo di strada e dove il rientro delle barche in porto era salutato con gioia dalla folla sul molo perché a non tutte era riservato questo privilegio. Il mare infatti dava la vita ma anche la morte, per via dei naufragi che erano sempre in agguato. In questo contesto, per un periodo anche devastato dalla peste, l’opera di carità esercitata da questo Servo di Maria non passò inosservata – come si è detto – nemmeno dai reggenti comunali del tempo, tutt’altro che praticanti della chiesa. Per il popolo invece fu da dichiararsi subito santo. Fra l’altro un parroco che per andare a Firenze nella casa madre dell’Ordine e ritornare a Viareggio era necessario il passaporto. Tutto questo perché del “Santo Curatino di Viareggio”, al secolo Eustachio Maria Pucci non si perda la memoria.

Mario Pellegrini

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