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venerdì, Novembre 22, 2024

Più utili e meno sportelli, stretta a mutui e prestiti: effetti e prospettive del rapporto fra banche e imprese

Nel 2023 le banche italiane hanno fatto registrare utili record (più 64% rispetto al 2022), soprattutto i primi 5 gruppi bancari  del ranking nazionale. Merito principale della stretta monetaria della BCE che per combattere l’inflazione ha alzato i tassi (pressoché da zero al 4.5% attuali). In questo modo è schizzata in alto la redditività delle banche basata principalmente sul margine di interesse…

Più ricche, ma anche più lontane dai territori di riferimento e soprattutto meno disponibili con le PMI che hanno la necessità di accompagnare (con finanziamenti a medio lungo termine) gli investimenti produttivi che debbono affrontare. Le motivazioni delle chiusure programmate degli sportelli, ma una vale più di tutte: la necessità di realizzare utili, ammortizzando i costi fissi.

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C’è un fatto comunque positivo ancor prima delle decisioni della BCE (che dovrebbe diminuire il tasso di riferimento non prima di giugno prossimo): i tassi di mercato sono già scesi dalla fine del 2023. La BCE precisa peraltro come le banche, specialmente quelle italiane, abbiano continuato ad inasprire i criteri dei prestiti (al consumo e soprattutto verso le PMI). Anche il primo trimestre 2024, dopo una diminuzione preoccupante a fine 2023, ha registrato un’ulteriore stretta sulle concessioni del credito stimabile in un più 3% che non è poco sommata a quella realizzata nel corso di tutto l’anno 2023. Anche l’Abi (Associazione bancaria italiana) nel suo ultimo rapporto registra un calo dei prestiti a febbraio 2024 nei confronti di famiglie e imprese misurabile in un meno 3% circa annuo.

Un credit crunch che non si giustifica visto che le banche italiane godono ottima salute per bilanci in netto miglioramento  e sofferenze in positivo calo percentuale. Le banche come noto hanno vinto anche la ‘grande’ partita con il Governo sulla cosiddetta tassa sugli extraprofitti non versando di fatto nessun euro in più in tasse allo Stato, ma rafforzando il proprio patrimonio accantonando i copiosi utili prodotti.

La giustificazione dell’Abi che ‘il cavallo non beve’ per il deterioramento del quadro macroeconomico nazionale non è sostenibile né dimostrabile. E’ l’offerta di credito che è diminuita con una griglia di valutazione per accesso al credito fatta ‘a maglie più strette’ in tutto il 2023 e confermata in negativo per le aziende e le famiglie anche nel primo trimestre 2024.

Un recente studio di UBS (Unione delle Banche Svizzere) pubblicato anche sulla rivista ‘Milano Finanza’ ha analizzato puntualmente le componenti del margine di interesse per le banche europee mettendole a confronto. Dallo studio, certamente autorevole dell’aggregato finanziario più importante in Europa, UBS, emerge chiaramente che è l’Italia il paese in cui la stretta creditizia è stata di gran lunga più pronunciata (con un PIL peraltro in modesto aumento  ma in aumento e non in contrazione).

Nell’importante studio dell’UBS emerge che le banche italiane sono tra le più profittevoli in Europa, nei guadagni dall’intermediazione del denaro con tassi di remunerazione sugli impieghi fra i più alti nel continente. Contemporaneamente le banche italiane sono quelle che più delle altre hanno stretto la cinghia sui prestiti all’economia reale privilegiando di fatto la intermediazione finanziaria che non produce ricchezza per l’economia generale,  ma solo per i bilanci degli istituti di credito e dei loro azionisti.

Concludendo, c’è da osservare che la stretta ha riguardato tutte le più grandi banche italiane: l’unica tra le prime 5 nel nostro paese con un saldo positivo è Banca MPS, che significa oltretutto che volendo si può spingere l’acceleratore dello sviluppo economico industriale.

L’augurio è che d’ora innanzi prevalga il senso di responsabilità di tutto il sistema nei confronti del ‘Paese reale’, e anche l’ABI e le autorità monetarie si pongono il problema evidente che l’accelerazione possibile della nostra economia si fa solo con gli investimenti pubblici e privati (non solo con gli stati di avanzamento pur importanti del PNRR) e che per fare gli investimenti produttivi che creano lavoro e ricchezza ci vogliono i finanziamenti della Banche.

Gianfranco Antognoli – Consulente finanziario, già professore a contratto presso la facoltà di Economia dell’Università di Pisa.

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