Ormai il virus Covid-19 è nelle nostre vite da più di due anni. E mentre prima eravamo abituati a vedere cittadini di nazioni lontane come Giappone e Cina indossare mascherine pel lo smog o per proteggersi anche da una semplice influenza, ora siamo tutti costretti a ricorrere a questo dispositivo di protezione per far fronte alla pandemia. Virus che ci ha fatto capire quanto una cosa così piccola possa mettere in difficoltà un intero pianeta.
Adesso però ci stiamo trovando difronte ad un nuovo grande problema, che incombe silenzioso e minaccioso. Lo smaltimento delle mascherine e l’inquinamento causato dalla dispersione in ambiente delle stesse. Secondo recenti stime si calcola che nel mondo, ogni minuto, vengano utilizzate 3 milioni di nuove mascherine, quasi 130 miliardi in mese. Nonostante sia solo una piccola percentuale a finire dispersa nell’ambiente, grazie ad un’attenzione alla raccolta differenziata sempre più importante e meticolosa, non è difficile immaginare la portata di questa nuova forma di inquinamento che sta colpendo in nostro pianeta.
Le mascherine sono composte principalmente da fibre di plastica (poliestere o polipropilene) e quindi capaci di restare nell’ambiente per secoli prima di degradarsi. Stime decisamente al ribasso, effettuate da diverse associazioni ambientaliste, tra cui OceansAsia, ci dicono che lo scorso anno siano finite in mare almeno 1,56 miliardi di mascherine. Come testimonia la foto di Ralph Pace, vincitrice del World Press Photo 2021, in cui un leone marino nuota verso una mascherina fluttuante in acqua, siamo soltanto all’inizio di questo problema. Ovviamente siamo in un periodo storico che richiede l’utilizzo di questi dispositivi di protezione per garantire la sopravvivenza dell’umanità. Ma non facciamo sì che quest’argomento, poco discusso, passi in secondo piano.
Ma non si parla solo di microplastiche disciolte che potremmo ritrovare nei cibi. È recente il risultato ottenuto da tossicologi ed immunologi dell’Università Vrije di Amsterdam a seguito di studi eseguiti sul sangue umano. Sono state rilevate concentrazioni pari a 1,6 microgrammi di microplastiche, tra cui anche plexiglass, per millilitro di sangue. Un cucchiaino da tè in 1000 litri d’acqua. Si parla anche delle potenziali trappole che costituiscono le mascherine. L’Università di Leida, in collaborazione con il Naturalis Biodiversity Center, ha pubblicato un documento sull’impatto dei dispositivi di protezione in natura. Il documento porta all’attenzione della comunità come i lacci delle mascherine stiano intrappolando diversi animali e come queste, insieme ai guanti monouso, siano la causa di soffocamento di pesci, tartarughe, pinguini, ricci, gatti e tanti altri. È stato creato un portale, dal nome Covid Litter, dove da tutto il mondo è possibile inviare segnalazioni su animali feriti, impigliati o uccisi da guanti e mascherine.
Uno studio pubblicato su Environmental Advances, rivista internazionale per la pubblicazione di articoli di ricerca trattanti tutti gli aspetti delle scienze ambientali, dimostra il lento degrado delle mascherine una volta finite in mare. Una singola mascherina potrebbe rilasciare fino a 170 mila microfibre di plastica al giorno. Facendo due calcoli, circa 5500 tonnellate metriche di plastica da aggiungere a quelle che disperdiamo nei mari ogni anno.
Le regole prevedono di smaltirle nel sacco del rifiuto residuo. Ciononostante la dispersione in ambiente non si arresta. Così molte associazioni ambientaliste stanno chiedendo a gran voce una riprogettazione dei DPI. Nonostante diverse startup si sono direzionate verso sviluppi sostenibili delle mascherine, prevalgono ancora i modelli monouso, non riutilizzabili. In Asia, dove troviamo la maggior parte dei dieci grandi fiumi che contribuiscono all’inquinamento degli oceani, vengono gettate 1,8 miliardi di mascherine al giorno. Immaginate quante ne andrebbero in acqua anche se solo l’1% vi finisse. E dall’alta parte del mondo? A New York e in Canada si segnalano già intasature nei sistemi fognari.
Nel nostro piccolo possiamo adottare piccoli accorgimenti come tagliare i lacci ed assicurarci di smaltirle correttamente. A livello mondiale invece alcune aziende stanno sviluppando, seppur ancora in fase sperimentale, mascherine in canapa, bambù, cotone e materiali differenti dalle fibre di plastica. L’indiana Paper Seed Co, sta tentando addirittura una strada impensabile: una mascherina usa e getta in grado di trasformarsi in un albero. L’idea di base, semplice quanto geniale, vede una struttura in cotone in più strati con all’interno dei semi: se finisce in ambiente si degrada e rilascia i semi dando potenzialmente vita ad una pianta. Anche se sembra più un’idea rivolta alla sensibilizzazione, ampiamente diffusa sui social indiani, l’azienda assicura la protezione al Covid-19.
Organizzazioni come The Ocean Agency, in collaborazione con altri partner, stanno puntando invece ad una sensibilizzazione che si basa sulla comunicazione: mostre fotografiche e raccolte di immagini online, di subacquei e fotografi. Lo scopo è condividere e diffondere il più possibile l’impatto delle mascherine sui vari ecosistemi.
Contemporaneamente c’è chi dall’altra parte prova a capire se e come le mascherine potrebbero essere riciclate. Il Politecnico di Torino ad esempio ha pubblicato una ricerca per dimostrarne le possibilità. Per via della composizione eterogenea il riciclo non è semplice tuttavia, tramite 4 differenti processi termomeccanici, il laboratorio ha ottenuto altrettanti materiali termoplastici leggermente differenti tra loro che, tramite stampa a iniezione
Per rendermi conto maggiormente della situazione ho fatto una passeggiata e, munito di guanti e pinze prensili, ho raccolto tutte le mascherine che ho trovato. In un’ora e mezzo di passeggiata il risultato è stato sconvolgente. Circa 60 tra mascherine chirurgiche e ffp2 raccolte soltanto nel comune di Camaiore, intorno al centro storico. E tutto ciò si ripete in tutti i comuni della Versilia. E in pochi si prodigano a raccoglierle viste le potenziali minacce dovute alla pandemia. Dopo la nostra camminata gettiamo sempre la maschera consumata nel sacco dei rifiuti residui, non buttiamola nell’ambiente, prima o poi, sotto altre forme, ce la potremmo ritrovare nel piatto.