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martedì, Dicembre 3, 2024

“La Toscana ha bisogno di un cambio di passo”. Assemblea di Confindustria: il presidente Matteini incalza Giani

Oggi pomeriggio si è svolta nella chiesa di San Francesco a Lucca l’assemblea generale di Confindustria Toscana Nord, dal titolo “Il futuro è oggi. Manifattura e catene globali del valore: le rotte dei territori in un mondo instabile”. Sono intervenuti il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani, il direttore Affari internazionali di Confindustria Raffaele Langella, il vicepresidente di Confindustria Maurizio Marchesini, il presidente di Mindful Capital Partners Alberto Forchielli e il direttore del Sole 24 Ore Fabio Tamburini, che ha coordinato una tavola rotonda sui problemi dell’economia.

“Incontrare voi tutti – ha detto il presidente di Confindustria Toscana Nord Daniele Matteini – è per me un’emozione particolarmente forte e il segnale più netto di una piena ripresa della vita associativa di cui davvero c’era molto bisogno per poter ragionare insieme sul futuro. Un futuro che è già oggi. Lo è perché quello che vivremo domani dipende da scelte che dobbiamo fare adesso, subito, senza indugio, e non solo perché le condizioni del PNRR ce le impongono ma perché semplicemente così si deve fare. Non abbiamo alibi; in particolare, non si può giustificare nessuna inerzia accampando l’incertezza che percepiamo e la consapevolezza che vi sono dinamiche fuori da ogni nostro controllo. Anzi, proprio perché vi sono aspetti non predicibili e non gestibili direttamente, siamo tenuti a fare tutto quanto in nostro potere per agire almeno dove e quando la nostra volontà può esercitarsi liberamente. Quando dico “noi”, “nostro”, mi riferisco a tutti coloro che hanno e devono avere a cuore la comunità del territorio, la sua prosperità, la sua crescita. Dall’Unione Europea alle amministrazioni locali, passando per lo Stato nazionale e per la nostra Regione, nessuno può chiamarsi fuori. Nemmeno le imprese, naturalmente, cui compete una funzione economica e sociale fondamentale e che si sono fatte carico negli ultimi due anni di responsabilità e oneri di enorme pesantezza”.

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Non bisogna sprecare una crisi

“Se non bisogna mai sprecare una crisi – ha proseguito Matteini – , men che meno dobbiamo sprecarne due di fila – e addirittura parzialmente sovrapposte – come il covid e questa guerra spaventosa che macchia di sangue l’Europa. Due crisi che non riesco a definire “buone” nemmeno nel senso paradossale che usava Churchill quando appunto diceva che una “buona” crisi non deve essere sprecata. Queste sono crisi cattive, brutali, che hanno portato e portano morte, destabilizzazione geopolitica e gravi problemi economici. Due crisi ancora in corso che, soprattutto la guerra, potrebbero avere effetti ancora più dirompenti di quelli a cui stiamo assistendo. Due crisi che ci danno alcune severe lezioni: soprattutto, che produrre beni materiali (di base e innovativi: entrambi) è essenziale per la tenuta delle nostre comunità, e questo ce lo ha fatto ben capire soprattutto la pandemia; ma anche, e questo invece è quanto ci ha insegnato soprattutto la guerra, che si rischia di non produrre affatto o di produrre a costi insostenibili se non si hanno almeno una ragionevole autonomia energetica, linee affidabili di fornitura e una logistica efficiente e flessibile”.

La globalizzazione 2.0

“Non sprecheremo queste crisi se sapremo trarne le necessarie conseguenze in maniera ponderata e lucida. Una maniera sbagliata sarebbe ad esempio quella di dedurne che la globalizzazione deve finire o è già finita. Per un paese come l’Italia, esportatore e povero di materie prime, sarebbe una prospettiva pessima, oltre che poco realistica. Serve una globalizzazione 2.0, non un azzeramento – peraltro impossibile – della globalizzazione così come l’abbiamo conosciuta finora. Le catene globali del valore vanno ripensate; rese più flessibili e accessibili; in alcuni casi accorciate, auspicabilmente anche a vantaggio delle nostre produzioni; gestite prudenzialmente attraverso diversificazioni delle forniture; neutralizzate, almeno in parte, rispetto a possibili débâcle temporanee grazie a quelle “ruote di scorta” costose ma talvolta necessarie che sono gli stoccaggi. Una cosa è certa: in questo ambito non bisogna più dare nulla per scontato, e forse non avremmo dovuto farlo nemmeno prima di questi scossoni. Salvo l’eventualità, a cui non voglio pensare, di un’escalation della guerra che la renda fatale per entità ed estensione, non credo che nel medio termine vi saranno stravolgimenti radicali quanto a dinamiche della globalizzazione. Ma ci saranno certamente spostamenti anche netti di assi economici; alcuni flussi commerciali si modificheranno nel senso dell’intensificazione o della contrazione; si verificheranno accelerazioni forti di evoluzioni già avviate, come la digitalizzazione e l’affrancamento dai combustibili fossili. Modifiche anche profonde, quindi, aggiustamenti e riequilibri in cui il nostro manifatturiero può e deve inserirsi proficuamente e vantaggiosamente, cogliendo l’occasione anche per sanare alcuni fardelli storici suoi propri, come una distribuzione del valore non sempre equa all’interno delle nostre stesse filiere. Per non sprecare queste crisi occorrono visioni forti e decisioni altrettanto forti. Le debolezze storiche del nostro Paese – che non cito perché rischieremmo di fare notte e perché tanto le conosciamo fin troppo bene – vanno affrontate ora o, forse, mai più, perché poi sarà troppo tardi”.

Le imprese gettano il cuore oltre l’ostacolo delle crisi

“Come imprese stiamo resistendo. Siamo abituati a farlo, perché nel contesto complicato in cui operiamo bisogna attingere a ogni risorsa per riuscire a fare impresa. Abbiamo fatto fronte al covid che ci ha fatto chiudere per settimane o che comunque ha condizionato pesantemente la nostra operatività e le possibilità commerciali; ora facciamo fronte agli squilibri che si sono creati con questo terribile conflitto e che, con i prezzi alle stelle di energetici e materie prime, erodono i nostri margini e mettono a dura prova la tenuta delle filiere. Sono di pochi giorni fa le stime del Centro Studi Confindustria secondo cui in confronto a Francia e Germania l’Italia è il paese dove il caro-energia si fa sentire di più, a causa del forte utilizzo di gas metano anche per la produzione di energia elettrica. Per il 2022 si parla per il manifatturiero italiano – a politiche invariate – di un’incidenza dei costi energetici sul totale dei costi di produzione dell’8%, esattamente il doppio del periodo pre-crisi. Per l’industria francese l’incidenza sarà poco più della metà, per quella tedesca quasi un punto percentuale in meno. Sono i frutti avvelenati di una politica energetica nazionale inesistente, problema che le imprese denunciano da sempre e che ora scoppia in tutta la sua portata. E questo in un quadro segnato dall’inflazione crescente, dalla stretta della BCE sui tassi e dai dati allarmanti sulla finanza pubblica italiana. Non è una resistenza passiva quella delle imprese, non può esserlo. Se faticosamente ce la stiamo facendo è perché non abbiamo lasciato niente di intentato, ma abbiamo riorganizzato, introdotto nuove tecnologie, fatto crescere le competenze, efficientato i processi. Tutto questo e molto altro concorre a farci andare avanti e a farci gettare il cuore oltre l’ostacolo delle crisi”.

La leva sostenibilità

“Negli imponenti processi che si profilano verso nuovi assetti potremo usare come leva anche un fattore che gli ultimi eventi hanno in parte oscurato e in parte enfatizzato, ma che in ogni caso è destinato a occupare prepotentemente la ribalta: la sostenibilità. Il mondo occidentale, che costituisce gran parte dei nostri mercati, è forse ormai maturo per recepire messaggi che vadano nel senso della sostenibilità – ambientale e sociale – senza scadere, come è accaduto troppo spesso, in visioni di volta in volta utopistiche, pauperistiche o sterilmente apocalittiche che non portano da nessuna parte. Quella che ci serve è una sostenibilità vera e concreta, basata su dati scientifici e non su sensazioni di “pancia” o su pregiudizi antindustriali. Una sostenibilità che non neghi e non demonizzi la produzione ma ne faccia uno strumento di crescita non impattante. Una sostenibilità che non insegua il facile consenso politico dell’immobilismo, dell’indisponibilità e degli irrigidimenti di cittadini che troppo stesso dicono “no” a qualsiasi opera e iniziativa. Cittadini che forse avrebbero atteggiamenti diversi se ci si preoccupasse più di curare la loro cultura e formazione civile che di intercettare il loro voto”.

Obiettivi ovvi ma difficili da raggiungere

“Mi rammarico e mi sgomento quando penso alla fatica che il mondo delle imprese – a cominciare da Confindustria nelle sue varie componenti, inclusa la nostra associazione – sta compiendo per provare a raggiungere, ai più diversi livelli, obiettivi che dovrebbero essere ritenuti ovvi. Penso a incomprensibili pastoie burocratiche che ostacolano attività virtuose come la depurazione delle acque. Aquapur, Gida, Consorzio del Torrente Pescia sono vitali per l’industria dei rispettivi territori; sono realtà esemplari dal punto di vista ambientale, eppure accade che siano tenute in scacco da problemi tanto inconsistenti nella sostanza quanto micidiali nella forma. Presidente Giani, ci dica qualcosa, ci apra delle prospettive positive! In questi tempi di carenza di acqua gli ostacoli alla depurazione sono particolarmente clamorosi. La depurazione è un esempio di sostenibilità incomprensibilmente ostacolata. Ma penso anche alle regole sull’end of waste, certamente delicate ma non al punto di doversi periodicamente spiaggiare; penso alla gestione dei rifiuti, che, occorre ribadirlo, ci sono e ci saranno anche nel più “riciclone” dei contesti futuri. Rifiuti che, non mi stanco di ripeterlo, possono e devono essere trattati con le tecnologie consolidate oggi disponibili: tecnologie che sono del tutto in grado di tutelare l’ambiente senza penalizzare l’economia. Perché ci si avviti su temi di questo genere, perché ci si areni, ci si paralizzi, è incomprensibile: a fronte di apparenti vantaggi per qualcuno si cade in reali svantaggi di tutti”.

La Toscana bella addormentata

Matteini si è rivolto in particolare a Giani, al quale ha chiesto senza mezzi termini “un cambio di passo, soprattutto sul tema della gestione dei rifiuti – con i vecchi impianti che vengono sbrigativamente dismessi mentre non procederà certo in parallelo la realizzazione dei nuovi – lo sconcerto del mondo delle imprese è fortissimo e motivato. C’è poi il ritardo nell’emanazione dei bandi agevolativi a valere sulle risorse dei Fondi Strutturali 2021-2027: una penalizzazione per le imprese, che hanno bisogno di ogni sostegno per realizzare gli adeguamenti imposti da questa fase economica così delicata e difficile. A livello toscano, e anche su temi diversi da quelli di diretta pertinenza del governo regionale, si percepisce un’atmosfera più stagnante che dinamica. Negli ultimi tempi l’unico fatto nuovo, tutto da valutare nelle sue conseguenze, è la nascita della multiutility. Noi siamo azionisti – in senso proprio come Confindustria Toscana Nord e metaforicamente, attraverso la partecipazione di nostre aziende – di impianti di depurazione delle acque in tutte e tre le nostre province. Poco fa ricordavo quanto queste realtà siano per noi fondamentali: si può ben capire con quanta attenzione e interesse guardiamo a quanto avviene nell’ambito delle utilities. Per il resto la nostra Toscana rischia di acquisire sempre più la natura e l’immagine di una bella addormentata”.

Un futuro basato sui Valori

“Credo non sfugga a nessuno che le considerazioni sulla sostenibilità non sono un “fuori tema” rispetto all’argomento di questa assemblea pubblica. Se dobbiamo ripensare le catene del valore, dobbiamo anche tenere conto dei Valori: sì, quelli con la V maiuscola. E fra questi la sostenibilità ha oggi un posto di speciale attenzione, nella sua declinazione sia ambientale, sia, non certo meno importante, sociale. La globalizzazione 2.0 deve corrispondere anche a un nuovo umanesimo, a una nuova stagione di attenzione per i valori umani. Anche su questo piano le nostre imprese hanno opportunità più di vedere esaltate le loro caratteristiche che di perdere qualcosa. Non è un caso se quando si parla di salario minimo il nostro presidente Bonomi ha buon gioco nel dire che nel merito il problema non ci tocca: sull’entità delle retribuzioni, ma anche sul trattamento complessivo dei nostri collaboratori, gli standard nell’industria italiana sono elevati”.

Il bello e il buono di essere industria

“Il problema è semmai quello di far comprendere pienamente chi siamo a clienti, istituzioni, consumatori, mondo dell’informazione e anche a potenziali collaboratori che rimangono lontani dalle nostre imprese a causa di pregiudizi infondati sul lavoro in fabbrica. Dobbiamo far comprendere il bello e il buono di essere industria, di produrre, di contribuire al bene comune in maniera moderna e rispettosa. Ha questo significato la nostra presenza attiva al Pianeta Terra Festival che si terrà proprio qui a Lucca a ottobre: migliorarci sempre, instancabilmente, ma anche valorizzare ciò che siamo già adesso. Guardando alle nostre aziende il futuro è effettivamente già oggi, o quantomeno i ponti per arrivare al futuro ci sono; potremo percorrerli e andare verso il domani se anche ciò che è intorno a noi ci asseconderà nel nostro impegno”.

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