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venerdì, Novembre 22, 2024

Cresce l’allarme microplastiche: rischiamo un disastro ambientale

L’inquinamento della plastica va oltre a una bottiglietta nel mare e alla tartaruga marina.
Siamo abituati, con troppa leggerezza, a collegare il problema della plastica al decoro del paesaggio e alla sua pericolosità per la fauna marina.
Di sicuro avremo sentito che alla plastica servono decine di anni per degradarsi… Ma cosa significa degradarsi?

Se è vero che una busta di plastica impiega decine di anni a degradarsi completamente, il processo inizia però nel giro di pochi anni. Un volta che il rifiuto inizia a sbriciolarsi a causa dei naturali agenti chimici, fisici e biologici, le sue parti più piccole diventano irrecuperabili. Queste continuano a deteriorarsi nell’ambiente sotto forma di pezzi sempre più piccoli, raggiungendo dimensioni inferiori al millimetro.

Se nel mare l’inquinamento della plastica è evidente, lo è altrettanto nel suolo.
Infatti le microplastiche non si originano solo dai rifiuti quotidiani, ma anche e soprattutto dal lento disgregarsi delle plastiche utilizzate nel settore edile o nell’agricoltura, nella mobilia da esterno, dal deteriorarsi delle fibre sintetiche dei vestiti, della cosmesi, dagli svariati utilizzi della gomma e della resina in tutti i settori..

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Gli effetti della degradazione della plastica e quindi delle microplastiche non sono del tutto noti, ma esistono ormai numerose ricerche che indagano gli effetti nocivi sul suolo e di conseguenza sull’organismo umano.

E’ stato scoperto che le microplastiche provocano perdita di struttura, permeabilità e porosità del suolo, alterano la struttura microbiologica del terreno e il ciclo dei nutrienti, ed ha effetti nocivi su microorganismi e vermi della terra, riducendo così la qualità e produttività del terreno.

Diversi studi hanno poi sottolineato che le microplastiche possono essere importanti vettori di sostanze chimiche tossiche. Ad esempio il poliuretano o il PVC, che in Italia è vietato dal 99 ma abbonda nelle vecchie discariche non conformi alle leggi attuali.
Tra le sostanze rilasciate nel suolo e nelle falde acquifere ci sono metalli pesanti, pesticidi e inquinanti organici persistenti.

I suoli più inquinati da microplastiche sono i terreni delle città dove, tra le altre cose, i rifiuti vengono tritati nelle operazioni di sfalcio e segatura, in cui le plastiche presenti vengono sminuzzate insieme all’erba.
Ma tra i suoli più contaminati da plastica spesso ci sono anche i campi coltivati. Qui la plastica ha un impiego massiccio: film plastici, coperture, teli da pacciamatura, tessuto non tessuto, tubi di irrigazione..

La plastica ha semplificato e ridotto notevolmente i costi del settore agricolo, ma la corretta gestione di questo materiale è in molti casi assente. Se non viene rimossa o sostituita, anche a causa delle operazioni di segatura e aratura dei campi, diventa impossibile o estremamente costoso bonificare il terreno in futuro.

Uno studio condotto in Europa e Nord America, ha stimato che circa 700mila tonnellate di microplastiche penetrano i terreni agricoli ogni anno e che, attraverso la dieta, ne ingeriamo in media 250g l’anno.
La permanenza di queste microplastiche e il loro effetto a lungo termine sono ancora un dilemma, ma un atteggiamento cautelativo è assente.

Nonostante la pervasività della plastica in ogni ambito quotidiano, c’è ancora molta leggerezza nel suo impiego e smaltimento.
Questi studi sottolineano quanto sia fondamentale sostituire la plastica con altri materiali laddove il suo recupero è critico, e intervenire per rimuovere i rifiuti abbandonati per evitare che si deteriorino nel tempo.

Non possiamo permetterci di sperare, bisogna agire.

Fonti: Microplastics in the soil environment: A critical review – M. Sajjad, Q.Huang, S.Khan, M.A. Khan, Y. Liu, J.Wang, F. Lian, Q.Wang, G. Guo

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