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martedì, Aprile 30, 2024

Desertificazione commerciale: riflessioni sulla crisi della vendita al dettaglio. Quali strategie per fermarla

Riceviamo e pubblichiamo in anteprima un articolo di Renzo Ponzecchi sulle problematiche del commercio che sarà pubblicato sul prossimo numero di “Leasing Time Magazine”, il mensile di economia e finanza diretto da Gianfranco Antognoli.

Da uno studio della Confcommercio, pubblicato nel marzo 2024, riporto i seguenti dati: “…nel 2023 si contavano circa 440mila imprese del commercio al dettaglio in sede fissa, circa 70mila ambulanti… il confronto tra il 2012 e il 2023 evidenzia come il commercio in sede fissa abbia perso in 11 anni oltre 111mila unità (-20,2%): in altre parole un’impresa attiva su cinque è scomparsa dal mercato e non è stata sostituita”. Dati allarmanti per un pezzo di economia così importante per il nostro paese.

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I motivi che hanno portato a questa situazione sono molti. Difficile trovare soluzioni strutturali. Il mondo post-Covid ha ridisegnato modi e tempi. La giornata per un lavoratore in Smart working interrompe il rituale pranzo, molti locali che offrivano un veloce spuntino soffrono di questa mancanza. Cresce il take away, diminuisce la socialità che disegnava la giornata lavorativa. L’impressionante crescita degli acquisti online: si compra il pomeriggio, la mattina successiva il corriere consegna la merce. Al prezzo, spesso, inferiore e non di poco, rispetto a quello proposto dal negozio tradizionale. Vendite che hanno avuto una crescita esponenziale negli ultimi anni, passando da 16,6 miliardi nel 2015 ai 54,2 miliardi del 2023 (+13% rispetto al 2022).

Ritornando alla sfida che le vendite online giornalmente occupano la scena commerciale, troviamo in questo teatro di guerra, molti operatori che hanno, attraverso siti web, app mobile, social media, dato un’opportunità di crescita alla loro azienda, consentendo di superare le limitazioni geografiche, offrendo la possibilità di vendere prodotti oltre il confine del negozio tradizionale. Settori enogastronomici; servizi vari; abbigliamento; accessori di tutte le tipologie e molto altro. Un fenomeno in crescita.

Qualità e servizio sono requisiti fondamentali per rispondere alle vendite online dei giganteschi gruppi di vendita. Le capacità innovative delle aziende e la fidelizzazione della clientela sono altri importanti tasselli di un nuovo modo di fare commercio. Combattere giornalmente con affitti alti, tasse e tributi vari, stipendi e contributi da versare ai dipendenti, mancanza di parcheggi nelle vicinanze del centro pedonalizzato, la concorrenza delle grandi strutture commerciali nella vicina periferia è una vera sfida.

I negozi di vicinato nell’intera città hanno sempre avuto un grande valore sociale, da sempre sono stati visti come centri di socializzazione. Ruolo che ha sempre svolto nella sua importante e insostituibile funzione sociale rendendo vive e vivibili le nostre città. La GDO ha cancellato quasi per intero questo microcosmo aggregativo. Il danno maggiore si presenta nelle periferie dove, sommando la presenza di questi enormi iperstore con la scomparsa di altri spazi sociali, da sempre centri di ritrovo e di discussioni, rimangono parti della città spente, svuotate. Il rischio di desertificazione non lo corrono solo i commercianti, ma tutti i cittadini, anche se non fanno acquisti nei negozi tradizionali. Insicurezza, micro-criminalità, riduzione del decoro urbano e perdita di valore degli immobili residenziali sono tutte potenziali conseguenze di città poco fruibili e poco vivibili: senza commercio di prossimità è impossibile sfuggire a un aumento del disagio sociale ed economico. Disagio economico e sociale che va a colpire tutte le tipologie di vendita grandi e piccole. In città dinamiche e in crescita, sia i negozi tradizionali sia le grandi superfici tendono a proliferare, mentre in contesti economicamente difficili, entrambi si riducono.

Questi i dati registrati nel periodo 2012-2023 rispetto ad arretramenti e avanzamenti di categorie commerciali: alimentari -12,5%; tabacchi -3,4%; farmacie +12,4%; computer telefonia +11,8 %; mobili, ferramenta -33,9%; libri e giocattoli -35,8%; vestiario e calzature -25,5 %; carburanti -40,7 %; commercio ambulante -27,8%; alloggio +42%; ristorazione +2,3%. Questi dati sono il segnale di un cambio culturale, aumentano attività con servizi: computer e telefonia; alloggio e ristorazione con l’aumento del turismo dopo Covid; farmacia la cui attività non è solo vendita farmaci ma servizi per la cura della persona.

Una luce appare in questo oscuro panorama in cui vive giornalmente il commercio cittadino: è la luce della “movida” serale. Il centro, come se avesse fatto una lunga pennichella, si sveglia. Esplode di vita. I locali che la ospitano sono le uniche attività commerciali che aumentano. E che fatturano.

Rimane, in ogni caso, prioritario contrastare la desertificazione commerciale con progetti di riqualificazione urbana per mantenere servizi, vivibilità, sicurezza e attrattività delle nostre città. Riporto le parole del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, che ha così risposto a un’interrogazione di Forza Italia sul fenomeno della desertificazione commerciale nel corso del question time del 5 aprile scorso alla Camera: “Occorre prevedere misure di carattere strutturale, di sistema, e con una precisa visione strategica nella consapevolezza di quanto importante sia, anche sul piano sociale, presidiare i centri urbani così come la presenza di punti vendita nei nostri borghi”. Auguriamoci che dalle parole si passi ai fatti.

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