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venerdì, Novembre 22, 2024

Economia aperta o chiusa? Modelli a confronto. Ponzecchi analizza la situazione italiana e gli scenari futuri

In che moda la situazione sociopolitica di uno stato condiziona l’economia? Questo il tema di un articolo di Renzo Ponzecchi che sarà pubblicato sul prossimo numero di “Leasing Time Magazine”, il mensile di economia, finanza e cultura diretto da Gianfranco Antognoli. Nell’articolo – intitolato “Economia aperta o economia chiusa?”, che riceviamo e pubblichiamo in anteprima – l’autore confronta i vari modelli e riporta i dati dell’Index of Economic Freedom 2022 che analizza la situazione della libertà economica nei paesi di tutto il mondo, ricerca che può essere definita una “classifica del capitalismo mondiale”. L’Italia non ne esce bene: infatti è collocata al 57° posto.

Economia aperta ed economia chiusa: cosa distingue queste due visioni dell’economia e che conseguenze portano una scelta rispetto all’altra? Essere l’una o l’altra interagisce in modo assoluto con le posizioni sociopolitiche che si determinano nei singoli paesi.

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Paesi che negano i fondamentali diritti civili che ospitano, tollerano, incentivano azioni terroristiche, sono soggetti a sanzioni economiche internazionali e loro malgrado vivono una situazione di mercato chiuso. Un’economia chiusa cerca di essere autosufficiente dipendendo al 100% dalla produzione locale di tutti i beni e servizi locali. Le aziende non hanno accesso ai mercati finanziari globali, che possono limitare i fondi disponibili per gli investimenti. Non importano o esportano beni e servizi. Avranno limitate opportunità di sviluppo del prodotto a causa della limitazione del trasferimento di conoscenze tecnologiche. L’unica tecnologia che sviluppano in modo ossessivo è quella militare. Gli unici scambi che hanno sono con altri paesi, spesso anche loro sottoposti a sanzioni o che hanno in questi paesi forti interessi geopolitici.

Le economie aperte, come suggerisce il nome, sono economie che mantengono legami finanziari e commerciali con altri paesi. In un’economia aperta, i paesi negozieranno le importazioni e le esportazioni e si impegneranno in attività commerciali internazionali. I paesi rispettosi di tutte le regole sociali e politiche vivono in una economia aperta dove il commercio internazionale svolge un ruolo vitale, garantendo che si produca e si esportino prodotti e servizi in modo efficiente a un costo inferiore e importino altri prodotti e servizi che non possono produrre in modo efficiente da un paese che può farlo. Le economie aperte scambieranno anche know-how e competenze tecnologiche.

Detto questo, credo sia interessante capire cosa viene proposto in termini di posizionamento socioeconomico in Italia. Mi sembra corretto partire da un fatto: il nostro paese ha un enorme debito pubblico. Situazione che obbliga a una politica di risanamento delle casse dello Stato, con azioni che portino alla sua riduzione o almeno al suo contenimento. Scelte politiche che devono ricordare che sono i fondi finanziari, banche più o meno centrali che acquistano i nostri buoni del tesoro. E che dovremo rimborsare con il relativo interesse. Interesse che è legato al famoso “spread”.

Senza entrare in tecnicismi finanziari è evidente che tutto ciò è legato a quello che il prossimo governo pensa di fare in un futuro molto vicino. Solo il pensare di avere un qualsiasi “splendido” isolamento politico rispetto al resto dell’Europa e del mondo intero, vista la interconnessione totale che il mondo globale cerca di gestire, sgomenta. L’occasione unica e forse irripetibile di utilizzare i fondi europei del PNRR per confermare la validità della nostra economia deve essere la bussola dell’azione politica dei prossimi anni. Questo per confermare quanto sia importante il mercato aperto in una società aperta alle sfide del mondo contemporaneo.

Renzo Ponzecchi

Nell’annuale classifica dell’Index of Economic Freedom 2022 viene analizzata la situazione della libertà economica nei paesi di tutto il mondo, ricerca che può essere definita una “classifica del capitalismo mondiale”. Nelle sue pagine riporta in modo evidente il peggioramento delle due più grandi economie mondiali: Stati Uniti e Cina. Questa classifica fu pubblicata per la prima volta nel 1995: gli Stati Uniti avevano un punteggio di 76,7. Nella classifica del 2022 hanno ottenuto 72,1 punti. Oggi si posizionano al 25° posto, si tratta della posizione più bassa in assoluto nei 28 anni di storia dell’Indice. All’interno del dossier si indicano nelle politiche di Joe Biden la responsabilità di questa situazione.

Ancora peggiore è la situazione della Cina che passa da un indice di 58,4 dello scorso anno agli attuali 48 punti. Anche per la Cina l’indice non è stato mai così basso dal 1995.

Gli analisti affermano che queste situazioni, presenti negli Stati Uniti ed in Cina, dipendono dall’eccessiva spesa pubblica con un conseguente aumento del deficit, frutto di scelte politiche/economiche che vedono nell’intervento pubblico un freno ad una economia libera. L’intero sistema economico mondiale vede con preoccupazione questa situazione. Molti grandi stati sono legati commercialmente alla Cina e una sua crisi può portare gravi danni anche ad altre economie mondiali. La grande crescita della Cina è dovuta all’inserimento della proprietà privata e delle riforme capitaliste che hanno limitato l’intervento dello Stato. Da alcuni anni lo Stato cinese sta riportando l’intervento statale in molti settori produttivi, limitando la libertà economica. L’economia di mercato ha dimostrato di essere un motore di opportunità e di ridistribuzione della ricchezza, dove altri modelli economici basati sull’intervento dello Stato hanno finito per essere un limite allo sviluppo sociale ed economico.

Sono qui riportati alcuni passaggi della ricerca di Index of Economic Freedom 2022 dove si evidenzia il rapporto tra il prodotto nazionale lordo procapite e la libertà economica: “L’indice della libertà economica dimostra chiaramente il legame tra capitalismo e prosperità. Il prodotto nazionale lordo pro capite nei paesi classificati come economicamente ‘liberi’ è di 73.973 dollari, nei paesi ‘per lo più liberi’ è di 45.519 dollari, nei paesi ‘moderatamente liberi’ è di 21.803 dollari, nei paesi ‘per lo più non liberi’ è di 9.917 dollari e nei paesi ‘repressi’ è di 7.096 dollari”.

L’Italia è al 57° posto, dietro Albania, Costa Rica e Panama. La necessità di rafforzare il libero mercato nel nostro paese è sostanziale in una visione di crescita e sviluppo del paese. La “concorrenza” fra gli attori economici è decisiva. Non regolamentarla, lascia ampi margini al conservatorismo (che non ha colori politici) in tante parti economiche, industriali, infrastrutturali, asset bancari e altro. Il nostro paese ha urgente bisogno di limitare l’ingerenza dell’ottusa burocrazia e di una espansione economica liberale. Certamente non con un selvaggio e deregolamentato “liberismo” che mai fa l’interesse di una giusta e responsabile economia di mercato.

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