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venerdì, Maggio 3, 2024

Il factoring continua a crescere e non teme bufere finanziarie. Fausto Galmarini fa il punto sul settore

Nel 2021 la crescita del factoring in Europa è stata dell’11% e nella prima metà dell’anno in corso del 20% a dimostrazione della vitalità e della resilienza del  settore. E non teme il cambiamento della politica monetaria per raffreddare l’inflazione che si tradurrà in un aumento dei costi di finanziamento e in una riduzione della liquidità per le imprese, in particolare le PMI. Fasi di difficoltà finanziarie delle aziende erano già avvenute in passato ma il factoring ha saputo gestire con efficacia le fasi negative del ciclo economico, mantenendo la rischiosità a livelli bassi ed è quindi in grado di affrontare la nuova emergenza economica. Il quadro della situazione viene tracciato da Fausto Galmarini, presidente della EU Federation for Factoring e Presidente di Assifact, sul prossimo numero di “Leasing Time Magazine”, il mensile di economia, finanza e cultura diretto da Gianfranco Antognoli. Nell’intervista – intitolata “Il futuro del factoring in Italia e in Europa”, che riceviamo e pubblichiamo in anteprima – Galmarini analizza le prospettive del settore alla luce anche dei lavori dell’EXCom della EUFederation tenutosi a Madrid.

L’EUFederation for Factoring si è riunita a Madrid il 30 settembre scorso per discutere le prossime priorità, le preoccupazioni future, gli obiettivi e le richieste ai Regolatori. Quali sono le priorità e le sfide aziendali e normative che, secondo lei, dovrà affrontare il settore nel prossimo futuro?

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Molte sono le questioni che il nostro settore sta valutando attentamente per cercare di dare quelle risposte che gli operatori si attendono per poter continuare a sostenere l’economia reale in un periodo complesso e irto di difficoltà come quello che stiamo vivendo. Innanzi tutto gli effetti del conflitto tra Russia e Ucraina che ha coinvolto tutta l’Europa, la mancanza di materie prime, gli alti costi, non solo energetici, l’elevato tasso di inflazione e il loro impatto sul sistema produttivo, con molte imprese (in partico lare PMI) in difficoltà finanziarie e che in alcuni casi rischiano la chiusura. In questo contesto è necessario che i Governi locali siano disponibili a fornire garanzie ad hoc perché l’emergenza che stiamo affrontando non è dissimile da quella che abbiamo vissuto nel periodo del Covid-19 e, a livello regolamentare, auspichiamo una maggiore attenzione delle Autorità preposte alla regolazione prudenziale (EBA, Commissione Europea, Consiglio e Parlamento Europeo) alla specificità della nostra operatività che non è un’attività di puro finanziamento ma un supporto alle imprese che vantano crediti verso i propri clienti mediante l’anticipo degli importi delle fatture emesse o l’acquisto pro soluto dei crediti commerciali. Il rischio che i Factor si assumono è spesso nei confronti del debitore ceduto (il cliente della società cedente) in quanto il nostro è un rapporto trilaterale tra il fornitore, il suo cliente e il Factor che interviene come intermediario facilitatore. Proprio per la nostra specificità la rischiosità della nostra attività è sempre stata notevolmente inferiore (un terzo o un quarto) rispetto a quella registrata nel tradizionale finanziamento bancario anche in periodi di cicli economici negativi. La normativa vigente purtroppo non riconosce questa specificità, obbligandoci ad applicare norme prudenziali – che se corrette per i prestiti bancari tradizionali – non lo sono per la nostra attività, con requisiti di capitale e accantonamenti superiori ai rischi che effettivamente vengono assunti.

Dal punto di vista operativo dovremo lavorare per facilitare la cessione del credito e velocizzare i tempi di conclusione dei contratti attraverso l’utilizzo di piattaforme digitali. Anche in questo caso è necessaria una semplificazione delle procedure burocratiche da parte degli Stati, in particolare per i crediti verso la pubblica amministrazione.

Come definirebbe la situazione attuale del settore del factoring in Europa? Qual è, secondo lei, la posizione dell’Italia nel settore del factoring?

Il mercato europeo del factoring rappresenta gran parte del mercato mondiale. Nel 2021 il turn over globale è stato superiore ai 3.000 miliardi di euro e i due terzi sono stati realizzati in Europa. Dopo la flessione del 2020 dovuta all’emergenza sanitaria, il mercato europeo è tornato a crescere a due cifre con volumi superiori a quelli raggiunti nel periodo pre-Covid-19. Nel 2021 la crescita in Europa è stata dell’11% e nella prima metà dell’anno in corso del 20% a dimostrazione della vitalità e della resilienza del nostro settore nel continuo sostegno all’economia reale, basti pensare che il grado di penetrazione del factoring sul PIL europeo è superiore al 12,5%. I paesi leader del mercato europeo, escluso il Regno Unito in quanto non più parte dell’UE, sono Francia, Germania, Italia e Spagna. L’Italia è quindi un mercato assai importante in cui si realizza oltre il 14% del fatturato europeo ed il grado di penetrazione sul PIL domestico è ancora più elevato rispetto alla media europea (15% contro 12,5%).

Quali effetti ha il cambiamento della politica monetaria sul settore del factoring? In che modo influisce sui default o sull’utilizzo del Factoring?

Il cambiamento della politica monetaria per raffreddare l’inflazione si tradurrà in un aumento dei costi di finanziamento e in una riduzione della liquidità per le imprese, in particolare le PMI. Alcune andranno in difficoltà finanziaria e comporteranno, sulla base delle valutazioni dell’EBA, un aumento significativo delle inadempienze nei prestiti bancari. È già successo in passato ma il factoring ha saputo gestire con efficacia le fasi negative del ciclo economico, mantenendo la rischiosità a livelli bassi ed è quindi in grado di affrontare la nuova emergenza economica perché il nostro modello di business è diverso da quello delle Banche tradizionali, essendo finalizzato a supportare le imprese con interventi a breve termine, monitorando quotidianamente i pagamenti dei crediti acquistati e calibrando in tal modo l’ammontare dell’esposizione verso il debitore ceduto. Voglio sottolineare che il debitore non è l’impresa che ci cede i crediti commerciali e a cui anticipiamo l’importo relativo, ma l’impresa (spesso grande/ media con ottimo rating esterno) o la pubblica amministrazione che dovrà pagarli.

Considerando l’attuale rallentamento economico e le incertezze, le banche hanno già segnalato alla BCE l’esistenza di restrizioni al credito tradizionale per le imprese e le famiglie a causa di maggiori richieste di garanzie, aumenti dei tassi, ecc. L’industria del factoring sta attraversando una situazione simile? In quali scenari ci sarebbe il rischio di una contrazione dei finanziamenti?

Riprendendo quanto detto prima, non credo che il nostro settore subirà forti contrazioni della propria attività, anzi come verificato in passato nei periodi di congiuntura economica negativa, continuerà a sostenere le imprese che hanno un buon portafoglio clienti, anticipando o acquistando i crediti derivanti dalla fornitura di beni e servizi e offrendo con il factoring pro-soluto anche la copertura del rischio nei confronti del debitore. Voglio sottolineare che in Europa più del 53% del fatturato del factoring (dato 2021) è pro-soluto ma in alcuni paesi, quali l’Italia o la Germania, questa percentuale è superiore al 75%. Per quanto riguarda gli impieghi, va considerato che oltre l’85% dei Factor è costituito da Banche o Intermediari Finanziari controllati da Banche che – in un’ottica di gestione ottimale del portafoglio crediti – continueranno a privilegiare gli asset a basso rischio e il Factoring è uno di questi.

Perché la nuova definizione di default penalizza il settore? Quali richieste avete avuto in Europa per correggere l’impatto della nuova definizione di default? Quali rischi affronterà l’industria se questi impatti non vengono affrontati?

L’anno scorso l’EBA ha introdotto la nuova definizione di default per cui un credito scaduto più di 90 giorni è automaticamente considerato in default. Ma se in un normale prestito bancario 90 giorni di scaduto rappresentano una proxy realistica di una possibile insolvenza, nei crediti di natura commerciale, rappresentati da una o più fatture connesse alla fornitura di beni o servizi, non sono necessariamente un indicatore di default perché gran parte di quel credito viene pagato, anche se in ritardo, e non diventa – nei successivi 12 mesi – un’insolvenza. Se così non fosse, non potremmo registrare una rischiosità significativamente inferiore rispetto al tradizionale credito bancario e non potremmo avere una migliore qualità degli attivi. Lo dimostrano i nostri dati storici e il fatto che in base alla normativa vigente dobbiamo mettere in default imprese con ottimi rating esterni e addirittura settori della Pubblica Amministrazione in cui il rischio di credito reale è molto basso o inesistente in quanto il credito viene pagato, anche se tardivamente, ma pagato.

Negli ultimi anni l’EU Federation for Factoring ha avuto diversi incontri con l’EBA in vista dell’introduzione della nuova definizione di default, evidenziando le problematiche che questa normativa avrebbe avuto sul factoring in quanto non si tratta di una mera attività di prestito ma un prodotto esclusivamente finalizzato all’acquisto di crediti originati dalla fornitura di beni e servizi e sottolineando che l’iter amministrativo per il pagamento delle fatture da parte delle imprese segue specifiche procedure interne relativi alla verifica della buona esecuzione della fornitura, al rispetto delle clausole contrattuali sulla qualità dei beni/livello dei servizi, sui tempi di consegna e sui termini di pagamento. Tutto ciò comporta tempi profondamente più lunghi e complessi rispetto al rimborso di un finanziamento o rata di mutuo per il quale l’unico onere è la verifica della scadenza contrattuale. Il ritardato pagamento di una fattura è quindi spesso fisiologico e non necessariamente sintomo della difficoltà del debitore nell’adempiere alla propria obbligazione, come invece accade nei tradizionali prestiti bancari. Abbiamo chiesto ai Regolatori di tenere conto di queste specificità, proponendo diverse soluzioni che non stravolgano la norma ma consentano di considerare default solo quei crediti scaduti che oggettivamente possono sfociare in un default sulla base dei nostri dati storici e del reale livello della nostra rischiosità. Vogliamo evitare che una norma sui requisiti patrimoniali, volta ad individuare tempestivamente le esposizioni che potrebbero sfociare in un default al fine di adeguare il capitale e gli accantonamenti ai rischi assunti, finisca per essere utilizzata strumentalmente per velocizzare i pagamenti delle fatture che non rientra tra gli obiettivi del Regolatore ma della Commissione Europea che in materia di ritardi di pagamento ha già emanato qualche anno fa una normativa specifica (Late Payment Directive) che ha natura civile ed è stata recepita nelle varie legislazioni nazionali dei paesi dell’UE.

Se non riusciremo ad ottenere cambiamenti che – sottolineo – non vogliono snaturare o alleggerire la normativa, dovremo necessariamente rinunciare ad una parte importante della nostra attività con debitori solvibili (Grandi/Medie Imprese dotate di ottimi rating o Pubblica Amministrazione) sui quali le perdite per rischio di credito sono state storicamente molto basse o inesistenti. E saranno le PMI, e quindi l’economia reale, a pagarne le conseguenze.

La vostra attività è trattata adeguatamente nelle disposizioni di Basilea III? Ci sono altre normative sul tavolo che vi riguardano come industria?

La nostra attività non è trattata nel regolamento di Basilea III in maniera specifica. Vi sono aree di miglioramento sia nella valutazione della reale rischiosità del factoring, considerato un’attività di mero finanziamento quando il factoring è focalizzato sull’acquisto di crediti commerciali e inoltre non riconosce la cessione del credito o le garanzie assicurative come fattori di mitigazione del rischio di credito.

Ci sono altre poi le linee guida EBA su L.O.M. (Loan, origination e monitoring) e quelle sul trattamento dei rischi ambientali in cui la nostra attività è trattata solo marginalmente.

In vista della revisione del Regolamento di Basilea III sul CRR, l’EU Federation ha proposto alcune modifiche con riguardo all’articolo 178 sulla definizione di default e l’inclusione della cessione del credito e delle garanzie assicurative nella mitigazione del rischio di credito (C.R.M.) al fine di evitare gli impatti negativi citati in precedenza sulla nostra attività.

Stiamo inoltre verificando l’impatto di altri progetti regolamentari (ESG, GDPR) e, non appena concluse le valutazioni, forniremo le nostre valutazioni in merito.

Come state affrontando l’arrivo degli operatori fintech? Il settore è altamente frammentato? Le fusioni e le acquisizioni potrebbero essere la risposta per affrontare la concorrenza e anche le crescenti richieste normative?

Gli operatori fintech sono presenti sul mercato europeo da alcuni anni e, in relazione al nostro settore, hanno focalizzato la loro offerta soprattutto sulle piattaforme digitali per gestire operazioni di supply chain finance/reverse factoring che sono in sensibile crescita. Non crediamo, però, che possano entrare massicciamente nel business del Factoring perché si tratta di un prodotto “tailor made” con una certa complessità e non un mero prestito finanziario. Il settore è molto concentrato. Come accennato in precedenza, oltre l’85% del mercato è in mano a Banche o Intermediari Finanziari controllati dalle Banche. Pertanto, non crediamo che ci saranno importanti operazioni di M&A ma dovremo affrontare la concorrenza soprattutto nel quadro normativo in cui esistono regole non omogenee sui requisiti patrimoniali tra Banche che utilizzano Modelli Interni (IRB) e Banche che operano con lo Standardized Approach (SA) con una disparità di trattamento dei rischi di credito, in particolare nel calcolo dei 90 giorni di scaduto, in relazione alla nuova definizione di default. L’EUFederation confida in una risposta positiva delle Autorità Regolamentari alla proposta di allineamento del trattamento in quanto uno stesso debitore, in presenza di 90 giorni di ritardo di pagamento, può essere performing in una banca che utilizza i modelli IRB e in default in una banca con approccio SA. Il che comporta una inevitabile distorsione della concorrenza nel mercato.

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