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martedì, Aprile 30, 2024

Inflazione, le politiche BCE non frenano la corsa dei prezzi e mettono a rischio la ripresa. L’analisi di Bruschini

Quali sono le migliori strategie per combattere l’inflazione? Un’analisi della situazione sarà pubblicata sul prossimo numero di “Leasing Time Magazine”, il mensile di economia, finanza e cultura diretto da Gianfranco Antognoli. Nell’articolo che riceviamo e pubblichiamo in anteprima, Alberto Bruschini di Value+ S.r.l. analizza la situazione e dà indicazioni su come raffreddare l’aumento dei prezzi.

L’inflazione diminuisce, ma meno del previsto, trattandosi di un fenomeno  derivante dall’aumento dei prezzi dei beni di consumo, dovuto al  boomerang delle sanzioni alla federazione russa e alla pervicace stretta creditizia delle Autorità monetarie europee.

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Secondo l’Istat, l’inflazione attualmente è  data al 7,7%%, contro il 9,1% del  febbraio scorso, pur in presenza di una notevole riduzione del costo dell’energia. Il carrello della spesa, costituito da beni alimentari e della persona, registra un’accelerazione tendenziale dal 12% al 12,7%.

In questo contesto sarebbe auspicabile, come sostiene lo stesso Governatore Visco, una maggiore moderazione della politica monetaria  della Banca Centrale Europea. Purtroppo  le cose non vanno in questa direzione. In marzo la Presidente Lagarde ha comunicato un rialzo del costo del denaro di 50 punti base, che sale al 3,50%.

Tutto ciò non contribuisce a abbassare il livello dell’inflazione che conta, quella che incide nel paniere della spesa. Non diminuiscono, infatti, i prezzi dei prodotti dell’industria manifatturiera leggera e di quella alimentare, nonostante il calo del prezzo del gas e della luce, data la crescente incidenza degli interessi passivi e delle spese  bancarie nei conti delle imprese.

Si tratta di un fenomeno che, direttamente o indirettamente, incide sul livello della domanda. Qualora la BCE continuasse a ricercare con pervicacia di conseguire nel breve termine l’obiettivo dell’inflazione al 2%, la stretta creditizia potrebbe innescare un processo deflattivo, che vanificherebbe la ripresa delle attività, anche se timida, con seri problemi per l’occupazione e  per la tenuta delle piccole e medie imprese.

L’inflazione, in assenza di un meccanismo che riallinei il valore nominale dei salari, degli stipendi e delle pensioni al costo della spesa, colpisce tutti, ma più di tutti i giovani che si sono indebitati per trovare una strada al di fuori della famiglia originaria.

I giovani subiscono una doppia botta: l’aumento dei tassi di interesse e la maggiore incidenza delle rate da pagare sui mutui, dovuta ad una remunerazione del lavoro,  invariata e falcidiata dal paniere della spesa.

L’inflazione è un fenomeno monetario che, contrariamente a quanto si dice, non  riduce il peso dei debiti. Vero per chi che ha la possibilità di incrementare le entrate nominali ad un tasso superiore a quello dell’inflazione. Falso per gli altri che sono in prevalenza.

La questione si pone anche per i conti dello Stato. Circa il 10% in più della spesa per interessi  per ogni  aumento di un punto percentuale del costo denaro. L’espansione  dell’onere del servizio del debito pubblico, tuttavia, per i tassi di interesse crescenti è coperto da un maggiore gettito dell’Iva al 22%, più del doppio dell’inflazione. Tale differenza impingua le casse dello Stato.

Ragione vorrebbe, contrariamente a quanto indicato dal Governo nella legge di delega fiscale, che una parte delle maggiori entrate dell’Iva fossero destinate:

  • all’azzeramento  del cuneo fiscale che porterebbe un aumento delle buste paga superiore a mille euro netti annui, 
  • al  riallineamento delle pensioni, non solo di quelle minime,
  • al valore di prima dell’inflazione, con correttivi per quelle cosiddette d’oro,
  • all’introduzione del salario minimo.

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