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lunedì, Aprile 29, 2024

“Le crisi richiedono un modo diverso di pensare”. Puccinelli (CGIL) riflette sul ruolo del mondo progressista

Riceviamo e pubblichiamo in anteprima un intervento di Paolo Puccinelli (responsabile CGIL zona Viareggio- Versilia) sulle crisi della società contemporanea che sarà pubblicato sul prossimo numero del mensile “Leasing Time Magazine” diretto da Gianfranco Antognoli.

Il contesto economico e finanziario con il quale ci troviamo attualmente a convivere e rispetto al quale ogni singolo, ogni ceto sociale, o espressioni organizzate di quest’ultimi, esprimono e rappresentano interessi e esigenze spesso distanti, non consente semplificazioni o azzardi, non permette, a mio avviso, un approccio esclusivamente specifico nel tentativo, sicuramente vano, di salvare posizioni e privilegi o garantire improbabili e magari repentini miglioramenti di una situazione alquanto complicata, pericolosa e di difficile soluzione.

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Infatti troppe e varie sono le cause di un momento così tremendamente caotico, dove l’uscita stessa da una fase di grave crisi come l’attuale non appare né a portata di mano, né chiaramente visibile e raggiungibile.

Nel frattempo crescono ingiustizie, disuguaglianze e prepotenze e di conseguenza aumentano disagi, torti e povertà.

A meno che non ci si voglia meramente affidare le sorti di questa e delle prossime generazioni al mercato ed alle sue leggi o pulsioni come pretenderebbe la logica ad oggi ancora dominante, o ancora alla grande mano pietosa di un capitalismo, la quale, lungi dal delineare e realizzare un mondo migliore e vivibile per tutti, ha, soprattutto negli ultimo 30-40 anni, causato danni irreparabili al clima e all’esistenza stessa di miliardi di persone, gettando pianeta e genere umano in una assurda quanto profonda crisi non solo sociale ma anche se non soprattutto climatica e valoriale, lasciando dietro di se bisogni e difficoltà, diritti e dignità, speranze e desideri.

Intere popolazioni soffrono la fame e la sete, vengono depredate di beni e risorse mentre la continua carenza di cibo e di acqua intensifica la desertificazione e rende aridi ed invivibili luoghi e terre costringendo intere masse di individui privi di ogni tutela o diritto ad abbandonare anche frettolosamente i propri territori e le proprie origini affidandosi a mercanti criminali poco o per niente perseguiti dal così detto “mondo civile“.

La guerra nel bel mezzo dell’Europa non fa che acuire ed aggravare in modo esiziale tale sconvolgente panorama, tutti vogliono vincere, nessuno opera seriamente per il cessate il fuoco, per una soluzione giusta che garantisca il paese aggredito e non tenti di mortificare o , peggio, umiliare il paese aggressore che deve essere condannato per la sciagurata aggressione compiuta e per le atrocità commesse nei confronti del popolo ucraino ma che non può, pena una guerra globale, essere considerato un’entità astratta da disconoscere politicamente e da annientare storicamente ed economicamente.

A tutto ciò la risposta delle potenze strutturali occidentali pare assai più legata a logiche di interesse geopolitico, commerciale e finanziario più che a costruire le basi per un rinnovamento mondiale da guidare unitariamente a stati e popoli verso un futuro più umano.

La stessa pandemia non sembra aver insegnato o lasciato nessun particolare ammonimento, il mondo ne è uscito addirittura peggiore nei suoi settori più importanti e vitali, in primis quello della Sanità e della protezione collettiva della salute dei cittadini.

Questa drammatica prova è al contrario divenuta una valida rappresentazione di come va questo mondo: moltissimi hanno sofferto, tantissimi sono deceduti, intere popolazioni hanno pagato prezzi altissimi per uscirne vivi, molti professionisti, medici e infermieri, o sono morti o hanno affrontato prove durissime… solo le grandi multinazionali farmaceutiche hanno tratto profitti abnormi e moralmente deprecabili, solo una risicatissima parte di persone ne hanno tratto ampi e gratuiti benefici a scapito di sofferenze e privazioni diffuse.

Così non può più continuare, così il sistema tanto osannato e promosso non può reggere ancora lungo, così si rischia l’esplosione di rabbia rancore sfiducia e violenza.

Alcune realtà del mondo imprenditoriale nazionale ed internazionale pare abbiano coscienza di ciò e chiedono cambiamenti in grado di lenire e contrastare la deriva materiale e morale in cui ci stiamo sempre più scivolando.

Ancora troppo pochi, ma sempre meno isolati, appaiono gli appelli per un aumento dei salari e delle pensioni, per ripensare in senso più democratico e pubblico la sanità e l’istruzione, per combattere il cambiamento climatico, per garantire lavoro e futuro e politiche nuove per affrontare il dramma degli immigrati.

Una circostanza davvero inedita, ma oltremodo indicativa di quanto questa fase di profonda crisi stia producendo davvero mutazioni importanti, di quanto in essa sia necessario avere la capacità di elaborare e di proporre a vaste masse di persone un’idea nuova, a suo modo rivoluzionaria , del mondo, della società, delle relazioni e del futuro.

Importante e rivoluzionaria perchè chiamata a rivolgersi appunto a fasce sociali differenti, spesso non coinvolte direttamente in lotte o campagne per riscattare la propria esistenza e perchè questa situazione sta cancellando o riformulando separazioni sociali, crea bisogni e aspettative più grandi e più estese, chiama tutti all’impegno totale, per salvarci e per salvare tutti.

La sinistra politica e sindacale non appare, a dire il vero, ancora attrezzata rispetto al reale livello delle sfide in corso e future.

Da troppi anni ha complessivamente ceduto, per non dire abdicato, a molti dei dogmi che hanno causato i guasti strutturali di cui abbiamo in precedenza trattato.

Da troppo tempo e contemporaneamente, questo declino ha riguardato anche il doveroso lavoro di aggiornamento delle proprie ragioni e dei propri obiettivi in relazione agli epocali cambiamenti emergenti.

Deridendo e rifiutando gran parte della propria storica tradizione si è finito per non conservarne niente, almeno in misura adeguata a garantirne il miglioramento e/o adeguamento; si è deciso che quest’era rappresentasse la fine della storia politica, la fine della contraddizione fra capitale e lavoro, la fine della rappresentanza di esigenze ed emergenze vecchie e nuove , quale l’inedito conflitto tra capitale e risorse naturali.

I risultati sono assai evidenti: in Italia ed in Europa le storiche forze progressiste da anni subiscono feroci sconfitte, tranne in pochi e limitati casi, hanno perso il proprio elettorato e hanno abbandonato a se stesse masse di individui stanchi, rassegnati e umiliati.

Il sindacato nazionale e internazionale ha dovuto sopperire, soprattutto nel nostro paese, a questo dissesto, a questa mancanza di prospettiva lunga, di visione totale della società, dei suoi turbamenti e delle sue potenzialità.

Il movimento sindacale italiano e segnatamente la CGIL stanno tentando, faticando e scontando purtroppo alcuni ritardi di uscire da questa stretta, di avanzare su linee e percorsi che uniscano bisogni, speranze, problematiche e idealità.

Non è facile perchè in un mondo in straordinaria trasformazione e in crisi di identità e certezze è forse quello del lavoro che ha subito le conseguenze più deleterie.

Pensiamo solo alla vicenda storica e sociale dell’avanzamento generazionale delle tutele e dell’affermazione individuale e collettiva.

Fino ad alcuni anni fa un padre sapeva di garantire al proprio figlio un futuro occupazionale migliore in tutti i sensi adesso no, adesso è assolutamente il contrario, i padri stavano molto meglio di come stanno oggi i loro figli.

Non è una questione da poco, anzi per alcuni aspetti è la questione che ne assume e palesa tante, se non tutte, le altre: si è rotta la capacità transitiva del valore sociale del lavoro, della sua tutela e di quella degli individui, del progresso umano lavorativo e complessivo.

Davanti ad una cesura così profonda di pratiche e di momenti di collettiva emancipazione la resa della politica prima e dell’azione sindacale poi hanno significato di fatto il declino di un’epoca, la fine di un mondo.

Cosa fare, come reagire, cosa opporre idealmente e concretamente alla crisi contemporanea in atto che coinvolge tutto e tutti? Come opporre il “nuovo“ al “vecchio“ modello di sviluppo e di relazioni sociali ed umane?

E’ sostanzialmente questo il vero livello dello scontro globale, ed in esso ci sta dentro l’avvenire non di una classe o di un popolo, ma ci sta dentro e reclama attenzione un complesso disposto di economia innovativa, di produzione sostenibile, di lavoro sicuro e adeguatamente retribuito, di diritti sociali e civili, di sanità e scuola per tutte e tutti gratuite ed universali, di diritto alla formazione ed alla conoscenza, di diritto alla casa, di diritto al benessere ed alla felicità.

Ci sta un modo di pensare diverso, una pratica civile differente, una solidarietà e una vicinanza non solo a parole ma tangibili qui ed ora nel mezzo del caos, della transizione ecologica e delle emergenze migratoria e climatica convivendo con una guerra nel bel mezzo dell’Europa.

Tutto ciò dovrebbe segnare i tempi e le modalità delle riflessioni e delle iniziative dei vari e alternativi soggetti a vario titolo protagonisti della fase.

Una mera speranza? O forse una reale ed urgente chiamata generale alla responsabilità di ognuno.

Per quanto riguarda le loro prerogative e le più ampie competenze, la sinistra, la CGIL e tutto il mondo progressista attivamente impegnato in ogni luogo devono essere attori fondamentali di un tale decisivo ed impegnativo percorso.

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