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lunedì, Novembre 4, 2024

Medico di famiglia, un lavoro sempre più difficile. Come cambia la professione con le novità previste dal PNRR

Come cambia la professione del medico di medicina generale? Il PNRR ha assegnato nuove mansioni ai medici di famiglia che sono in difficoltà a fare fronte alle esigenze. Un’analisi della situazione è stata fatta dal dottor Alessandro Dini, ex direttore del Dipartimento della Medicina Generale dell’Asl Toscana Nord Ovest per il periodico “Amici del Cervello News” e per il prossimo numero di “Leasing Time Magazine”, il mensile di economia, finanza e cultura diretto da Gianfranco Antognoli. Riceviamo e pubblichiamo l’articolo del dottor Dini.

Il medico di medicina generale è un professionista sanitario che opera in convenzione con il Servizio sanitario nazionale (SNN) e dal mese di aprile scorso questa figura è confluita con la continuità assistenziale in un ruolo unico. Il medico di famiglia fornisce un’assistenza di primo livello, nel suo studio ma anche a domicilio e nelle strutture di cure intermedie territoriali (RSA, Hospice e Ospedali di comunità). Promuove inoltre la salute individuale e collettiva e – attraverso le varie campagne di vaccinazione – attua il Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale (PNPV), che è uno dei principali strumenti di tutela della salute dei cittadini. Svolge poi un ruolo fondamentale nell’educazione sanitaria della cittadinanza e negli interventi sui corretti stili di vita.

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L’attività si svolge dalle 8 alle 20 con obbligo di risposta telefonica durante l’orario di ambulatorio e, sempre, al mattino dalle ore 8 alle 10. Nelle restanti ore notturne, nei giorni prefestivi e nei festivi, opera la continuità assistenziale su richiesta telefonica.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) indica un nuovo ruolo per il medico di famiglia, che si inserisce in un percorso di deospedalizzazione delle patologie croniche e che non lavora più da “solista” ma collabora in team con altri colleghi. Il PNRR prevede in particolare la presenza del medico di medicina generale nelle Case di Comunità, che sono Hub, le principali, e Spoke, le secondarie, e che lavorano dal lunedì al venerdì con apertura H24 o H12. In queste strutture la medicina generale opererà in team multi-professionali con gli infermieri di famiglia e gli specialisti, in presenza o in telemedicina.

Il professionista avrà in quest’ambito compiti di prevenzione (vaccinazioni etc) e di presa in carico dei pazienti cronici, per patologie come il diabete, lo scompenso cardiaco, l’ictus, la BPCO e i percorsi assistenziali complessi, anche a livello domiciliare e con il supporto della tecnologia. Per deospedalizzare le patologie croniche ed evitare accessi e ricoveri inappropriati si dovranno fornire servizi di qualità ospedaliera, con tecnologie appropriate e adeguata assistenza medica, specialistica e infermieristica.

In questa visione dell’assistenza territoriale ci sono delle criticità in continua “espansione”: l’emergenza Covid ha accelerato le problematiche legate alla carenza di medici, determinando – soprattutto nelle zone più periferiche – una carenza di medici di continuità assistenziale e di assistenza primaria. Tra le soluzioni finora adottate ci sono la copertura di più ambiti territoriali da parte della continuità assistenziale, l’aumento volontario dei massimali a 1.800 scelte per i medici e l’inserimento in convenzione di giovani in formazione della Scuola di Medicina Generale.

I nostri medici segnalano però – nonostante la dematerializzazione – un eccessivo aumento dell’attività prescrittiva e del carico burocratico, che sottraggono tempo all’attività clinica, senza considerare l’incremento esponenziale delle telefonate e il problema del contenzioso con gli assistiti, che prima in pratica non esisteva. A tutto questo si aggiungono le enormi difficoltà nel reperire sostituti per malattia, gravidanza, ferie e pensionamenti. Da qui gli abbandoni precoci di medici neo-convenzionati e i pensionamenti anticipati a 68 anni (o anche prima) di colleghi non più in grado di reggere l’attuale carico lavorativo. Questi problemi sono ancora più accentuati per coloro che lavorano da soli, su più studi e magari senza personale.

Di fronte a questo quadro così negativo, stiamo lavorando ad alcune possibili soluzioni. La prima è la valorizzazione del ruolo delle Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT), con la messa in rete di tutti i medici e la possibilità di sostituzione da parte dei colleghi, con accesso ai dati condivisi tramite il coordinatore della AFT, ovviamente in modo volontario e informato. Da sviluppare poi l’integrazione della continuità assistenziale (ex guardia medica) nelle AFT in attività orarie diurne, con ruoli da definire, per adesso nelle medicine di gruppo e nelle Case della Salute, in prospettiva nelle Case di Comunità.

Un’azione fondamentale per il miglioramento dell’attività di assistenza primaria, sarebbe infine quella di fornire – indistintamente a tutti i medici di medicina generale – personale sanitario e amministrativo adeguato alle necessità assistenziali della popolazione.

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