“Zita dei fiori” di Mario Tobino, edito da Mondadori nel 1986 nella collana “Scrittori italiani e stranieri” e non più pubblicato se non nei “Meridiani” della stessa casa editrice, è oggi un libro praticamente introvabile.
Il titolo è quello del racconto sulla Santa Lucchese (secondo del volume), perché quelli successivi costituiscono un agglomerato di vicende personali che si alternano fra l’ospedale psichiatrico di Maggiano – dove ha svolto la sua professione di medico per circa quarant’anni – il deserto della Libia, Lucca e Viareggio. Il primo, invece, racconta in una sintesi pressoché esaustiva, il suo ritorno – dopo un periodo di malattia – nelle sue “due stanzette” nel chiostro del vecchio convento. Questo per inquadrare il contenuto di un libro che alterna momenti di assoluta liricità ad altri che sono del tutto didascalici e quindi esclusivamente riempitivi, per cui ne risulta un libro valido per metà.
Ma, come si è detto, contiene dei momenti di assoluta liricità, e questi lo riabilitano di fronte alla sua discontinuità. Due su tutti: “Quando una dea mi prende per mano” dove con l’amata Giovanna descrive Lucca sotto la pioggia, e “Il lungo amore” sulla distruzione del “piazzone” di Viareggio dove lui aveva giocato da ragazzo davanti alla farmacia del padre. Non da meno, comunque, i due racconti sulla sua presenza in Libia come ufficiale medico: “Soldato sconfitto” e “Lui si che ci sapeva fare”, dove con poche pennellate umane descrive lo stato di disagio dei soldati in un conflitto che non poteva finire come è finito.
Ma al di là di quanto detto, ci ha colpito e ci ha fatto riflettere il racconto “Un concittadino” dedicato alla memoria del più grande pittore viareggino: Lorenzo Viani. Ovviamente non come tale, ma come uomo dilaniato nel suo “ego” per essersi dovuto iscrivere al fascismo, quando in lui esisteva un animo anarchico nel contesto della darsena viareggina. Ecco quindi come Mario Tobino descrive, appunto, il passo conclusivo del suo racconto intitolandolo, appunto “Un concittadino”: “Ma dietro, dietro il convoglio, il trasporto funebre di Lorenzo Viani chi c’era? I neri, quelli che picchiavano, ogni tanto bastonavano i sovversivi, un drappello di dieci-quindici persone, notissime a Viareggio, col fez, il pennacchio, gli stivaloni neri. Di sicuro erano stati comandati a quel servizio e camminavano con irosa malavoglia dietro il carro funebre, avevano nel volto e nei passi l’eccitazione e il disordine di chi è avvinazzato… Stetti un poco li imbambolato e mi allontanai chiedendomi perché, perché la sorte aveva voluto così, perché il grande pittore di Viareggio non era accompagnato dalle sue bandiere, dai suoi amici, dalla sua gente”.
Un racconto, quindi, dove più che il funerale di Lorenzo Viani, a Mario Tobino interessa descrivere più il proprio stato d’animo di fronte all’ultimo viaggio di un personaggio che doveva apparire ciò che in vita non era stato. Una contraddittorietà che Mario Tobino riesce a descrivere con la sua penna fluente e di getto che caratterizza i suoi indiscussi capolavori, da “Le libere donne di Magliano” a “La brace dei Biassoli”, fino a “Lungo la spiaggia e di là dal molo”.
Mario Pellegrini