Quanti sono a conoscenza che l’inizio del turismo estivo-balneare sull’arenile di Viareggio lo si deve ad una persona che è passata alla storia minore della città con il soprannome di “Ampolletta”? E’ vero – ci dicono – che questo personaggio è citato in alcuni scritti che parlano, appunto, degli inizi della balneazione, ma non crediamo che il suo soprannome sia patrimonio di tutti coloro che conoscono, per sommi capi, l’inizio di questa attività. Ebbene, quell’ “Ampolletta” – Carlo Alberto Di Grazia nel suo “Viareggio e il suo Carnevale” lo definisce addirittura come il primo “bagnino” d’Italia – era un ex-soldato giunto a Viareggio al seguito degli inglesi, ma che per sopravvivere in un borgo marino che lentamente stava crescendo costruì alcuni capanni nei pressi della battigia in modo che chi voleva bagnarsi in mare poteva spogliarsi e rivestirsi al riparo di occhi indiscreti.
L’ufficialità della balneazione a Viareggio è comunque datata 31 marzo 1827 allorché il Gonfaloniere marchese Alfonso Cittadella chiese al Duca di Lucca Carlo Ludovico di Borbone l’autorizzazione a costruire uno “stabilimento di bagni di mare onde procurare un vantaggio grande a questa città (elevata a tale rango da un decreto di Maria Luisa di Borbone del 1820) e nel tempo medesimo da risentirne in molte altre parti dello Stato Lucchese”. Non passò nemmeno un mese che l’autorizzazione era sulla scrivania del Gonfaloniere, ma la prima vera e propria stagione balneare si verificò l’anno successivo, quando vennero costruiti ed aperti due stabilimenti balneari veri e propri nelle vicinanze del molo: il “Nereo” per gli uomini e il “Dori” per le donne.
Come poi si può leggere nei “Quaderni” editi dal Centro Documentario Storico del Comune di Viareggio, in questo primo anno di attività si ebbero 1.029 frequentatori in ambo gli stabilimenti e con tanto di biglietto pagato. Ovvio che ad usufruire quella che era da considerarsi un’autentica novità rivoluzionaria nei costumi dell’epoca, fu esclusivamente la nobiltà e l’alta borghesia lucchese, in genere rappresentata dai commercianti più o meno facoltosi, la prima ed i secondi comunque a diretto contatto con una “scelta” clientela straniera. Fatto questo che permise quasi subito il diffondersi, prima in Toscana e poi gradatamente negli altri staterelli della penisola della notizia che a Viareggio si poteva indossare un costume da bagno (ancorchè castigato) in sedi completamente attrezzate, prendere il sole sulla spiaggia e poi scendere a sguazzare nell’acqua del mare senza che nessuno si scandalizzasse.
Accadde così che anno dopo anno i “bagnanti” non si contavano più, mentre per dar lustro a questa attività in lenta ma costante espansione, si certificò che nel 1846 fu presente a Viareggio Massimo D’Azeglio e nel 1854 addirittura Alessandro Manzoni. Poi nessuna notizia fino al 1860 quando ai due stabilimenti sopracitati si aggiunse il “Felice Barsella”, mentre cinque anni dopo il “Nettuno” e l’”Oceano”. Fino a giungere al 1875 quando entrarono in funzione, chiudendo la fase storica, il “Balena” e il “Quilghini”.
Dopo l’Unità d’Italia e con Firenze capitale, le stagioni balneari viareggine conobbero un autentico “boom”, ma dopo l’ormai irreversibile acquisizione dello Stato Pontificio e il conseguente e logico spostamento a Roma della capitale, ebbe inizio una sorta di lenta ma graduale “decadenza” perché prima Ostia e poi Livorno, con i sempre famosi “Bagni Pancaldi”, tolsero a Viareggio la leadership e quindi la frequentazione della classe politica dirigente, della nobiltà romana e di tutti coloro che per una ragione o per l’altra gravitavano intorno a quelle.
Mario Pellegrini