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martedì, Maggio 7, 2024

“La bella degli specchi”, l’anello mancante all’opera di Mario Tobino. Un libro apparentemente minore

“La bella degli specchi” è con “Zita dei fiori” un libro in cui Mario Tobino raccoglie leggende, storie, pensieri, incontri e riflessioni personali che non hanno un nesso logico, ma spaziano in varie direzioni con la penna che scivola via senza la minima incertezza. Che è poi la caratteristica di questo autore in cui la fantasia narrativa non si discosta mai dalla realtà dei fatti.

E’ comunque un libro che non ha avuto la fortuna del primo, in cui ci sono pagine di autentico lirismo e che fra l’altro ha anche vinto il “Premio Viareggio Repaci”. Ha avuto soltanto due edizioni nel breve giro di quattro mesi – maggio e luglio 1976 – e poi per quasi mezzo secolo il silenzio è calato su questo titolo che, come “Zita dei fiori”, è del tutto fuorviante perché di Lucida Mansi e di Rita da Monsagrati solo poche righe sulla lussuria della prima e la santità della seconda. L’una leggendaria e storica l’altra, forse sono state scelte per dare un tono a due raccolte cui forse sarebbe stato difficile trovare un titolo a dei racconti che spaziano dall’alfa all’omega.

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Scomparso da tempo dalle librerie, a quasi cinquant’anni dall’uscita delle due quasi contemporanee edizioni mondadoriane, leggere oggi “La bella degli specchi” non si scopre nulla di nuovo del mondo tobiniano, ma di converso le capacità sintetiche di un autore che, quando vuole, va diritto al sodo senza fronzoli, anche nei suoi capolavori autobiografici, sull’ultra quarantennale vita in manicomio come psichiatra, sugli struggenti anni della mitica navigazione a vela. Ecco così che il breve incontro con i norcinai di Greve in Chianti, su alcuni episodi marginali sull’avventura militare fra le sabbie della Libia, ma soprattutto in alcune riflessioni sull’immediata vita da infartuato nella casa di cura e sulle strade di Fiesole in compagnia dell’amata Giovanna, Mario Tobino esprime anche qui il meglio di se stesso.

Leggere oggi “La bella degli specchi” è un libro che nel suo insieme non aggiunge nulla a quanto già si sapeva di Mario Tobino, se non la conferma della consueta facilità di raccogliere in poche pagine ciò che gli è venuto in mente, magari in tempi diversi ed in stato d’animo altrettanto diverso. Quindi paragoni con le sue opere di vasto respiro non è nemmeno il caso di fare. Se vogliamo si tratta di un “divertissement” messo insieme fino a raggiungere il “quorum” per pubblicarlo.

Ma al di là di queste sin troppo facili considerazioni per un lettore che conosce per intero tutta l’opera narrativa di un medico-scrittore che costituisce un pilastro della letteratura del Novecento, ci sembra quanto meno opportuno affermare che “La bella degli specchi” rappresenta l’anello mancante di un percorso che alla fine conduce al “Manicomio di Pechino”, sua ultima impresa contro la follia considerata una malattia come tutte le altre. Non a caso, quindi, quel titolo che apparentemente sembra del tutto casuale, e che invece rappresenta l’autentico volto della follia.
Mario Pellegrini

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