Paolo Nuti è un pittore viareggino fuori dalle righe perché contrariamente ai suoi colleghi di ieri e di oggi le sue opere rifuggono dall’ambiente nativo – quindi marino nelle varie componenti – per spaziare in un mondo proprio fatto quasi sempre di uccelli, barche a riposo, composizioni floreali e nature morte. Non sappiamo se questo dipenda dal fatto che per lunghi anni ha insegnato prima a Pavia e poi ad Empoli, ma anche quando è tornato definitivamente nella sua città non si è discostato di una virgola dal suo mondo pittorico.
Dopo una mostra giovanile nella scomparsa Galleria ”Ugo Foscolo”, solo di recente è tornato ad esporre prima a Viareggio presso il “Museo della Marineria” insieme a Marco Dolfi e poi presso la Galleria “Europa” di Lido di Camaiore ancora con Marco Dolfi e Lisandro Ramacciotti. Ma dato che Paolo Nuti è più noto in Italia – in particolare quella del Nord, oltre che nella zona fiorentina – la maggioranza dei visitatori (e acquirenti) proveniva da extra-viareggini.
Nel corso dell’ultimo incontro ci ha però rivelato che al di la dei successi riscontrati un po’ dovunque, gli sta a cuore in modo particolare una sua opera del periodo studentesco presso l’allora Istituto d’Arte “Augusto Passaglia” di Lucca e che ebbe a realizzare nel 1968 con due compagni di corso sotto la supervisione del professore di affresco, appunto. Si tratta di un Crocifisso – con alle estremità delle braccia i volti della Madonna e di San Giovanni – in stile lucchese del Trecento che, sollecitato dall’insegnate di religione, doveva essere esposto nell’antica e storica Badia di Cantignano, quasi alle pendici del Monte Serra.
Ed a questo proposito Paolo Nuti ci ha riferito un episodio che l’ha visto protagonista perdente: “Quando si giunse al momento della patinatura d’invecchiamento, nacque un’accesa discussione. Io e il professore di affresco volevamo patinare il Crocifisso con un mordente naturale, mentre gli altri con il bitume di Giudea. Passò la seconda ipotesi ed oggi si vedono le conseguenze. Il dipinto si è infatti molto ossidato e molte zone si sono annerite. Comunque nelle persone che lo guardano crea sempre una discreta impressione, anche se in definitiva è soltanto una copia”. Poi, dopo un momento di incertezza o di riflessione ha così terminato: “Sulla targhetta apposta nelle vicinanze dell’opera è riportato che l’autore è un professore dell’ Istituto d’Arte di Lucca con l’aiuto di alcuni studenti, ma questo non ha nessuna importanza, la cosa che mi fa piacere è che dopo tanti anni il Crocifisso sia ancora collocato al suo posto all’interno della Badia”.
In un antico edificio sacro non poteva esserci collocato un dipinto moderno, per cui – seppure trattandosi di un’imitazione – un Crocifisso della scuola lucchese del Trecento
capeggiata dal Berlinghieri, era quello che ci voleva. Si tratta quindi di un’opera fatta con tre mani e otto occhi, compresi quelli del professore, ma che ancora riempie d’orgoglio Paolo Nuti che, pur essendo viareggino, ha sempre guardato e guarda al di là del Monte Quiesa e della Fossa dell’Abate.
Mario Pellegrini