Il radicamento locale è il punto di forza delle Banche del Territorio. Questo uno dei tanti argomenti toccati dall’Amministratore Delegato di Banca del Fucino, Francesco Maiolini, in un’intervista che sarà pubblicata sul numero di aprile di “Leasing Magazine”, il mensile di economia, finanza e cultura diretto da Gianfranco Antognoli, della quale riceviamo un’anticipazione. In essa Maiolino fa il punto su situazione e prospettive delle Banche del Territorio e sul ruolo che possono rivestire nel percorso di ripresa del nostro Paese, in particolare nell’attuazione dei progetti del Pnrr.
Quale scenario si profila nei prossimi mesi per l’economia italiana?
“Le prospettive per l’economia italiana sono improvvisamente peggiorate a causa dell’invasione russa dell’Ucraina. Questo evento ha esacerbato la fiammata inflattiva già in atto per svariate materie prime, a cominciare da quelle energetiche; questo avrà inevitabilmente ripercussioni sui costi di produzione, che in molti casi sono già cresciuti a livelli insostenibili; inoltre colpirà l’interscambio italiano con la Russia, che pur non essendo percentualmente determinante per il nostro commercio internazionale, non è di entità trascurabile (circa 22 miliardi di euro nel 2021). Alla luce di questi fattori negativi, gli istituti di previsione hanno già ribassato le stime sulla crescita per il 2022, da 4,3% a 2,8%. Per ora restiamo comunque all’interno di un percorso di crescita”.
Quale ruolo assumono le Banche del Territorio nel piano di ripresa del nostro Paese? Quali vantaggi ha portato l’acquisizione di Banca del Fucino da parte del Gruppo Igea?
“A mio giudizio le banche del territorio possono giocare un ruolo centrale per la ripresa del nostro Paese. Devo dire che in Italia siamo un po’ passati da un estremo all’altro: da una situazione di oggettivo sovraffollamento bancario, soprattutto in certe aree, a una vera e propria deforestazione bancaria. Le cito una cifra: oggi in Italia le banche non di maggiori dimensioni e non appartenenti a Gruppi bancari (le cosiddette Less Significant), sono poco più di un centinaio. In Germania – che ha un’economia che è un po’ più del doppio della nostra – sono 1.400. Ma anche da noi stiamo cominciando a riscoprire che le banche piccole e medie non sono “Less Significant” (“meno importanti”), ma “Locally Significant”, “importanti localmente”. E che questo non è un limite, ma un punto di forza. Che si concretizza nella conoscenza del territorio di riferimento, una conoscenza che nessun algoritmo potrà mai sostituire. La vera sfida consiste precisamente nella capacità di combinare radicamento territoriale e innovazione. Credo che questo sia anche il segreto della fusione tra Banca del Fucino e Igea Bank, ossia della combinazione tra una banca con un solido radicamento territoriale e una banca vocata all’innovazione, sia tecnologica che di prodotto. I risultati sono nei numeri: abbiamo chiuso il bilancio 2021 con una crescita della raccolta del 38% e un incremento degli impieghi del +42%; e questo dopo un 2020 che già era stato molto buono. Nel 2021 la crescita del margine di interesse è stata del 43%. Il bilancio della Banca del Fucino chiude con un utile prima delle imposte di 7,5 milioni”.
Quali prodotti e servizi la Banca del Fucino mette al servizio degli investimenti delle imprese?
“La Banca del Fucino pone a disposizione delle imprese l’intera gamma dei prodotti creditizi. Negli ultimi anni siamo cresciuti in particolare proprio sul medio-lungo termine, cioè nel settore del credito per investimenti. Siamo tra le banche che hanno risposto con maggiore decisione alle iniziative governative per il sostegno al credito alle imprese tramite l’utilizzo delle garanzie MCC e Sace”.
Qual è lo spazio operativo e di mercato per le banche regionali rispetto alle PMI?
“In realtà questo spazio è molto ampio. Lo riscontriamo quotidianamente nei territori in cui siamo maggiormente presenti (in particolare Lazio e Abruzzo), ma anche dove abbiamo stabilito più di recente una nostra presenza (penso a Padova, a cui si aggiungerà a breve Verona). Gli anni dell’eccesso di bancarizzazione sono ormai lontani. In molti territori è ormai chiaramente avvertito il problema opposto. Non si tratta soltanto – e neppure principalmente – di un problema di carente accesso al credito. Quello che chiedono le imprese, soprattutto quelle di minore dimensione, è assistenza finanziaria a tutto tondo, è la capacità di affiancarle per trovare le soluzioni migliori a problemi di diverso tipo – non di rado a problemi posti dalla crescita stessa dell’impresa. È in questi casi che le banche a dimensione regionale sono in condizione di offrire il supporto migliore, per la loro conoscenza sia dell’impresa che dell’ambiente rapporto con Confidi e associazioni di impresa è in grado di svolgere la propria attività anche su territori diversi da quelli di tradizionale radicamento del Gruppo. Attraverso l’innovazione digitale siamo così in grado di superare vincoli operativi che tradizionalmente la dimensione imponeva alle banche”.
Si può prevedere un rapporto più stretto fra banche regionali e le strutture produttive per favorirne lo sviluppo e contribuire a un progetto di crescita complessivo per il nostro Paese?
“Direi senz’altro di sì. Oggi abbiamo anche una eccellente opportunità per misurare il nostro impegno in questa direzione: si tratta del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Questo Piano come noto rappresenta un’occasione per certi versi unica per canalizzare gli investimenti pubblici e privati su un progetto generale di sviluppo. La sua realizzazione richiede un rapporto stretto tra il sistema bancario e le realtà produttive a livello locale. Soltanto così quello che è scritto nelle linee generali del Piano potrà essere tradotto in progetti concreti, capaci di portare sviluppo. Per quanto ci riguarda, stiamo sperimentando due forme di intervento, tra loro complementari: una attraverso un rapporto con le associazioni e i consorzi tra imprese (unioni industriali, confidi, ecc.), una direttamente con le imprese che possono essere coinvolte nell’attuazione del Piano”.