“Considerazioni sul mercato azionario. L’importanza di investire anche in presenza di importanti eventi avversi (Covid e Guerra gli ultimi in ordine temporale)” è il titolo di un interessante articolo che sarà pubblicato sul prossimo numero di “Leasing Magazine”, il mensile di economia, finanza e cultura diretto da Gianfranco Antognoli. Nel suo articolo, del quale riceviamo e pubblichiamo un’anticipazione, Alessandro Moschetti analizza l’andamento del mercato azionario in periodi di crisi e, suffragato dagli studi di importanti analisti di mercato, offre una serie di indicazioni su come comportarsi nella situazione attuale. Moschetti è consigliere d’impresa e consulente indipendente.
L’orizzonte di investimento a lungo termine della parte azionaria – i dati sotto riportati, frutto di varie analisi sul tema, lo dimostrano – è probabilmente la migliore soluzione che possiamo avere per contrastare gli innumerevoli “incidenti di percorso” che i mercati hanno dovuto, devono e dovranno affrontare in maniera direi quasi naturale e inevitabile. Ricordo che negli ultimi 20 anni siamo passati attraverso tante crisi come le Torri Gemelle, il crollo Lehman Brothers, la crisi dei debiti sovrani e del sistema bancario, la Brexit, la guerra dei dazi Usa-Cina, la pandemia ed ora la guerra in Ucraina: ebbene, per chi fosse rimasto investito sull’indice azionario Globale “Morgan Stanley World” senza disinvestire mai, il risultato sarebbe stato un guadagno medio annuale dell’8,5% circa. Semmai le crisi si sono dimostrate delle buone occasioni per investire, ma ad alcune condizioni e semplici regole da rispettare: investire ciò che non serve per gestire la “quotidianità” in modo da non essere costretti a disinvestire nel momento del bisogno; per ridurre il rischio, occorre diversificare molto e su diversi mercati e settori, senza correre dietro al “market timing”; entrare un po’ alla volta, proprio perché nessuno può dire quale sarà il minimo toccato dalle borse; è dimostrato che nell’80% dei casi chi disinveste precipitosamente finisce per rientrare a prezzi superiori a quelli a cui aveva venduto e, come dice il mitico Warren Buffet, «…i mercati finanziari sono un formidabile strumento per trasferire ricchezza dagli impazienti ai pazienti…».
Banca Mediolanum ha presentato uno studio condotto sugli ultimi 80 anni, con varie guerre di mezzo (tra cui Seconda Guerra Mondiale, Guerra di Corea, crisi missili Cuba, Vietnam, le due Guerre del Golfo e l’attacco alle Torri Gemelle) e il risultato è stato il seguente: in corrispondenza di ciascun evento, i mercati hanno fatto segnare un calo medio del 21,7% nell’arco di 10 mesi, ma hanno poi recuperato il 122,40% dai minimi nei 50 mesi successivi. Dunque si tratta di essere pazienti e non cedere all’impulso di inseguire gli indici delle Borse.
Altri studi (in questo caso quelli di Blackrock fino al 2017 e Fidelity fino al 2020) hanno dimostrato che perdere solo poche giornate (le migliori) di rialzi delle borse può avere un impatto molto importante (direi quasi “devastante”) sulle performance complessive Valutare se nel tempo abbiamo mantenuto un asset allocation in linea con il nostro profilo di rischio, facendo degli aggiustamenti senza farsi prendere dall’emotività del momento è sicuramente la scelta più saggia ed oculata che potremmo fare, per non rischiare di “disperdere” le performance nel tentativo di “anticipare” il mercato.
In questi giorni, private banker e consulenti finanziari sono impegnati in una sola cosa: rassicurare i loro clienti che li chiamano preoccupati per le perdite che stanno subendo i loro fondi. Ed è un fatto comprensibile perché sono molti i problemi che li tengono svegli la notte: l’impennata dei prezzi delle materie prime, l’inflazione crescente e, naturalmente, una guerra alle porte dell’Europa che sta causando una vera tragedia umanitaria. In questo contesto di visibilità molto bassa, c’è poco che i gestori patrimoniali possono offrire ai loro clienti. Fatto salvo provare a delineare degli scenari possibili e presentare dei dati storici sulle performance dei mercati finanziari. Per venire incontro a questa esigenza, Duncan Lamont, responsabile della ricerca e dell’analisi di Schroders, ha elencato quattro motivi che possono aiutare a mantenere il sangue freddo di fronte a questo scenario.
1 – Investire nel mercato azionario è rischioso nel breve termine, non altrettanto nel lungo
«Basandoci su quasi 100 anni di dati sull’andamento del mercato azionario statunitense, abbiamo scoperto che se si fosse investito per un solo mese, si sarebbe perso il capitale il 40% delle volte in termini corretti per l’inflazione, cioè in 460 dei 1.153 mesi della nostra analisi.
Tuttavia, se l’investimento fosse stato tenuto più a lungo, il risultato sarebbe stato migliore. Per esempio, su un periodo di 12 mesi, il denaro sarebbe stato perso poco meno del 30% delle volte», spiega Lamont. È importante notare che un anno è ancora un breve orizzonte temporale quando si tratta del mercato azionario. D’altra parte, su un orizzonte di cinque anni, questa cifra scende al 23%. A dieci anni è il 14%. E non c’è stato nessun periodo di 20 anni nella sua analisi in cui il mercato azionario ha subito perdite in termini corretti per l’inflazione. «È vero che la possibilità di perdere denaro a lungo termine non può essere completamente esclusa. Tuttavia, questo è un evento molto raro», commenta. Al contrario, mentre il contante può sembrare più sicuro, le possibilità che il suo valore venga diminuito dall’inflazione sono molto maggiori: «L’ultima volta che il contante ha battuto l’inflazione su un periodo di cinque anni è stato dal febbraio 2006 al febbraio 2011, e finora non registriamo un cambiamento di questa tendenza», spiega.
2 – Nella maggior parte degli anni si registrano cali superiori al 10%, ma la performance a lungo termine è stata robusta
Giovedì 3 marzo, i mercati azionari globali sono scesi del 10% dal loro picco. Hanno poi recuperato il giorno seguente, ma poi sono scesi di nuovo all’inizio della scorsa settimana. «Questo 10% può sembrare un grande calo, ma in realtà è un evento comune. Il mercato statunitense ha visto cali di almeno il 10% in 28 degli ultimi 50 anni solari, cioè nella maggior parte degli anni. Nell’ultimo decennio, sono inclusi il 2012, 2015, 2016, 2018 e 2020». Nonostante questi ostacoli, il mercato azionario statunitense si è apprezzato in media dell’11% all’anno in questo periodo di 50 anni. «Così, per il mercato azionario, l’investitore deve esporsi al rischio a breve termine per ottenere rendimenti a lungo termine», ricorda Lamont.
3 – Vendere dopo un crollo potrebbe costare molto
Anche se il mercato non è sceso troppo finora, non si può escludere ulteriore volatilità e rischio di ribasso. Se questo dovesse accadere, il cliente può essere tentato di vendere azioni e rifugiarsi nei contanti. Tuttavia, la ricerca di Schroders indica che, storicamente, questa sarebbe stata la peggiore decisione finanziaria che un investitore avrebbe potuto prendere. Facendo così sarà costretto ad aspettare molto tempo per recuperare le perdite. «Per esempio, gli investitori che sono passati al contante nel 1929, dopo la prima caduta del 25% della Grande Depressione, avrebbero dovuto aspettare fino al 1963 per riavere il loro denaro allo stesso valore che aveva. Al contrario, se fossero rimasti investiti, sarebbero stati in grado di farlo all’inizio del 1945. E bisogna ricordare che il mercato azionario ha finito per cadere di più dell’80% durante questa crisi. Quindi passare al contante avrebbe permesso di evitare le peggiori perdite durante il crollo, ma si è comunque rivelata la peggiore strategia a lungo termine», sottolinea l’esperto. Allo stesso modo, gli investitori che sono passati ai contanti nel 2001, dopo il crollo del 25% nella crisi del dotcom, potrebbero scoprire che i loro portafogli devono ancora riprendersi completamente dalle perdite. «In breve, uscire dal mercato e scegliere di investire in contanti dopo una grande caduta è stato negativo per la performance del portafoglio nel lungo termine», conclude.
4 – I tempi di maggiore incertezza sono stati migliori del previsto per il mercato azionario
L’escalation delle tensioni tra Russia e Ucraina ha recentemente spinto l’indice VIX alle stelle. Il VIX è una misura della quantità di volatilità che i trader si aspettano per l’indice statunitense S&P 500 nei prossimi 30 giorni. E nelle ultime giornate è salito a un livello di 32, ben al di sopra della sua media dal 1990 di 19. Ed è anche superiore al suo livello di 17 di inizio anno. «Non è difficile immaginare uno scenario in cui si muova ancora più in alto nei prossimi giorni, mentre gli eventi continuano a svolgersi», prevede Lamont. «Tuttavia, piuttosto che essere un momento per vendere, storicamente, i periodi di elevata volatilità e incertezza sono stati quelli in cui gli investitori più propensi al rischio hanno ottenuto rendimenti migliori. Infatti, in media, l’S&P 500 ha generato un rendimento medio a 12 mesi di più del 15% se il VIX era collocato tra 28,7 e 33,5. E più del 26% se fosse superiore a 33,5», fa notare il capo della ricerca e dell’analisi di Schroders. Il team della casa di gestione ha anche esaminato gli impatti di un possibile cambiamento di strategia: vendere azioni e passare ai contanti su base giornaliera ogni volta che il VIX è entrato in questa fascia superiore al 33,5. Per poi tornare alle azioni quando l’indice è sceso di nuovo. «Questo approccio avrebbe avuto una performance peggiore della strategia di rimanere investiti in azioni, con una perdita del 2,3% annuo dal 1991 (7,6% annuo contro 9,9% annuo, ignorando i costi). Un investimento di 100 dollari nel portafoglio investito continuamente nel gennaio 1990 avrebbe avuto un valore doppio rispetto ai 100 dollari investiti nel portafoglio che aveva optato per il cambiamento di strategia», illustra Lamont. La conclusione: come per tutti gli investimenti, il passato non è necessariamente una guida per il futuro, ma la storia suggerisce che i periodi di elevata incertezza, come quello attuale, sono stati i migliori per gli investimenti nel mercato azionario. Ribadisco che rimane fondamentale valutare l’efficienza degli strumenti finanziari in portafoglio e il rispetto del profilo di rischio che varia da persona a persona e, a mio avviso, non può essere standardizzato.