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domenica, Aprile 28, 2024

Imprese, il futuro si chiama “fintech” ma occorre un’elevata professionalità delle risorse umane impiegate

Fintech o tecnofinanza è la fornitura di servizi finanziari attraverso la tecnologia, e rappresenta una strada da percorrere per le imprese, in particolare alla luce del trend di chiusura degli sportelli bancari in Italia: basti pensare che nel 2021 ne sono stati chiusi 1.831 e 4.902 comuni sono privi di sportelli. Il problema e gli scenari futuri sono analizzati sul  prossimo numero di “Leasing Time Magazine”, il mensile di economia, finanza e cultura diretto da Gianfranco Antognoli.  Nell’articolo – intitolato “Serve fintech ma con elevata reputazione e professionalità delle risorse umane impiegate. A settembre sarà importante per le PMI italiane poter disegnare le operazioni finanziarie semplici, veloci, intelligenti“, che riceviamo e pubblichiamo in anteprima – gli esperti di finanza Christian Dominici ed Eleonora Dominici  analizzano la questione e indicano un decalogo di regole da seguire per un buon servizio.  

Il trend bancario consolidato

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Nel 2021 in tutta Italia sono stati chiusi 1.831 sportelli bancari, scendendo ad un numero complessivo pari a 21.650 rispetto ai 23.481 di fine 2020 e lasciando ben 4.902 Comuni senza sportelli.

Il trend è in aumento: i piani industriali per il prossimo triennio approvati dai maggiori gruppi bancari del nostro Paese dovrebbero portare il saldo totale delle chiusure programmate attorno a quota 17.000, fino ad arrivare nel 2024 a circa 7 mila sportelli in meno rispetto al 2019. Alla chiusura degli sportelli bancari contribuiscono più elementi: innanzitutto, la necessità di tagliare i costi, che però da sola non basta a descrivere la rivoluzione del sistema bancario. Da un lato, infatti, gli sportelli chiudono per le sovrapposizioni territoriali dovute a fusioni e acquisizioni, alle quali si ricorre per raggiungere e creare economie di scopo ed aumentare la competitività. Questa è una tendenza ben osservabile nelle ultime due decadi, ma che ha particolarmente caratterizzato il biennio 2021- 2022 con l’operazione Intesa Sanpaolo-UBI, l’accordo (sfumato) per UniCredit-Monte dei Paschi di Siena, l’offerta su Carige da parte di Bper e Creval diventata Crédit Agricole Italia. Dall’altro lato vi è la forza trainante e abilitante della digitalizzazione, che crea per le Banche la possibilità di fornire online i propri servizi: fra il 2004 e il 2020 la quota di utenti dell’e-banking in Italia è aumentata da meno dell’8% al 40%. Con la pandemia da Covid-19 la crescita ha ulteriormente accelerato i ritmi.

Quali sono le conseguenze per le PMI?

Mentre i gruppi bancari diventano colossi tramite le fusioni, il tessuto imprenditoriale italiano è ancora costituito al 95% dal comparto delle microimprese. La cessazione di uno sportello aumenta la probabilità di interruzione delle relazioni con questa tipologia di clientela. Di conseguenza la micro-piccola impresa subirà nel breve termine un calo della disponibilità di linee di credito.

Venuta meno la specularità fra i piccoli istituti locali e le aziende presenti sul territorio, le necessità di liquidità e di credito delle PMI rischiano, inoltre, di scontrarsi con le procedure e gli standard richiesti dai Gruppi Bancari.

La digitalizzazione e il fintech possono essere la soluzione?

Sì, ma a certe condizioni Le soluzioni fornite dalla tecnofinanza attraverso le nuove tecnologie sono sicuramente un’ottima risorsa. Risultano particolarmente efficaci per il settore assicurativo e per le piccole operazioni bancarie. Per operazioni più rilevanti e/o strategiche però, sono poche le imprese disposte ad affidarsi a processi automatizzati e a consulenti finanziari virtuali (c.d. roboadvisor), questo può dipendere sia da un’alfabetizzazione digitale inadeguata, sia dai costi legati alle nuove tecnologie, sia da una mancanza di autorevolezza dei nuovi software rispetto a professionisti la cui iscrizione agli Albi, OAM nel caso dei mediatori creditizi, ne certifica capacità e competenza. Inoltre, molte piattaforme fintech utilizzano l’automazione solamente per i servizi a minor valore aggiunto, come il back office, poiché le stesse software house ritengono che l’elemento umano sia essenziale nel processo decisionale e di vigilanza. Qui si colloca la nostra idea di finanza digitale: un fintech ad alto livello reputazionale e professionale, in grado di unire l’immediatezza e l’accessibilità delle risorse digitali alla competenza e alla flessibilità di professionisti della finanza, che ascoltano e conoscono gli imprenditori e danno supporto ai loro progetti. Le operazioni non le fanno le piattaforme digitali o Google, anche se possono in parte generarle; le operazioni, soprattutto quello di medio taglio, devono essere costruite e disegnate da professionisti e tagliate su misura per ogni cliente. Questa è la nostra idea di fintech con elevati contenuti reputazionali e professionali.

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