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venerdì, Aprile 19, 2024

Tributo all’indimenticabile Egisto Malfatti. Barghetti ha fatto rivivere le sue canzoni, specchio di Viareggio

Un piacevole tributo allo chansonnier Egisto Malfatti è andato in scena venerdì pomeriggio nei locali dell’Hotel Palace, uno degli edifici simbolo della storia di Viareggio. Adriano Barghetti, autore di moltissime canzoni del Carnevale e di numerose pubblicazioni di poesia, ha fatto rivivere le canzoni di Malfatti, che è stato un poliedrico personaggio: giornalista, scrittore, animatore musicale. A lui si devono tantissime canzoni ufficiali del Carnevale, indimenticabili spettacoli teatrali: è stato il protagonista più importante del teatro vernacolare della Festa della Canzonetta.

Malfatti per decenni ha infatti narrato Viareggio, la vita popolare del primo dopoguerra, le sue bellezze:il mare, le pinete, l’arte popolare. Ha preso spunto dalla vita di tutti i giorni: in passeggiata, sul Viale dei Tigli e sulla sabbia; non ha trascurato neppure i personaggi caratteristici della città e i loro coloriti nomicchiori. Nelle sue canzoni c’era la poesia, la nostalgia della lontananza e l’orgoglio modesto di sentirsi viareggino. Spiace solo che mancavano tanti all’appello, compreso i promotori della partecipazione alla nomination di Città Capitale della Cultura. Bravissimo Adriano che al pianoforte del Palace ci hai fatto rivivere e riascoltare numerose delle sue creazioni e composizioni! Egisto Malfatti è stato infatti uno dei più importanti cantori e promotori di Viareggio e delle sue bellezze: la città gli deve riconoscenza!

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Per ricordare Malfatti, ci sembra opportuno citare il testo di due delle sue canzoni più celebri. “Passeggiata Margherita”: “Ci son trenta panchine un po’ stinte / fra le più distinte / che trovi in città. / Quattro chioschi forniti di niente / e poi c’è la gente / che viene e che va. / C’è un ritrovo per vecchie signore / tre ore per bere / una tazza di tè. / Ci son dodici vele sul mare / c’è un battito in cuore / però lei non c’è. / Passeggiata Margherita / se a incontrarla / per prima sei te,/ devi  dire alla mia fanciullezza / se per gentilezza / ripassa da me… / Devi  dire alla mia fanciullezza / se per gentilezza / ripassa da me… /  C’è un locale tra il chiuso e l’aperto / tra il ballo e il concerto / e un po’ liberty / che già vide Don Giacomo assorto / gustare il suo porto / pensando a “Mimì”. / C’è rimasto un barocco plafone / ambito blasone / dei noti caffè, / le abat-jours, / le maniglie d’ottone / sei palme africane / però lei non c’è. / Sotto i tegoli del Quarantotto / formato ridotto / dei grandi Bazar / c’è il mio primo giocattolo rotto / un treno diretto / per dove… chissà? / Tra le cose di gusto borghese / c’è un busto francese / firmato Bernè, / c’è persino un ventaglio cinese / persino due rose / però lei non c’è”.

Ecco “Viareggio amore mio”, più conosciuta come “Miriordo”: “Primavera son verdi le foglie, son verdi le voglie, son verdi i perché.  / Con il sole che bacia le soglie odiate spardiglie non fate per me. / Oggi è il giorno di San Benedetto e sotto il mio tetto sapete che c’è, / c’è una rondine bianca sul petto c’è un nido già fatto venite a vede’. / Colle fave c’è bono il formaggio profuma Viareggio di rose e pansè; / ogni sera nel bene di Maggio d’amore un messaggio purissimo c’è. / O gran madre del Cielo Regina Viareggio s’inchina prostrato ai tuoi pie’,  / io però le cantavo bambina perché la scambiavo Beppina per te. /  Miriordo è il pensiero che vola, vola verso una favola blu. / Miriordo è quel banco di scuola dove un giorno sedevi anche tu. / E’ la piazza davanti alla Chiesa, è la mia con la tua gioventù, / è la debole lampada accesa, la porta socchiusa sul tempo che fu. / Al Balena ci vanno i signori Salviati, Ginori, Bertolli e Garè, / al Colombo curati e priori, le monache al Dori dal tocco alle tre. / Pattaioni bisunti arroganti un vò più bagnanti però sai com’è / semo poveri i debiti èn tanti sensali su canti pensate anche a me. / Ferragosto cornetti e briosce, fra puppore e cosce la ciccia che c’è. / Il patino, signora, non esce col mare che cresce rimane dov’è. / In carrozza, da Berto guidata, da pogo è passata Madama Dorè  / co’ budelli dell’ultima ondata va in giro agghindata per falli vedè.  /  Miriordo è il pensiero che vola, vola verso una favola blu. / Miriordo è quel banco di scuola dove un giorno sedevi anche tu. / E’ la piazza davanti alla Chiesa, è la mia con la tua gioventù, / è la debole lampada accesa, la porta socchiusa sul tempo che fu. / Grigio autunno languori d’amore le sere per ore si stamo a guarda’. / Se domani ti porto a fà more tu’ madre se occorre che cosa dirà? /  Non badare se Egisto t’attesta, non dire mai basta fin lì ci poi sta’, / Ma se vol qualcos’altro, Mercede lu’ prima di gode ti deve sposà.  / Di mi’ padre le lettere stinte che scrisse dal fronte pensando a mi ma’. / Delle giostre le donne dipinte dell’ottovolante la velocità. / Del balletto, il costume azzardato del cinema muto le fatue beltà. / Il sapore del primo peccato da me confessato, ma solo a metà”. 

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