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giovedì, Aprile 25, 2024

“Per la pace contro la guerra. Occorrono strategie diverse per fermare le armi e costruire un’Europa migliore”

Riceviamo e pubblichiamo un intervento di Alessandro Cerrai sulle problematiche della pace, in particolare legate alla guerra in Ucraina.

Per la Pace, contro la guerra. Perché, come sempre, a morire è principalmente la povera gente. Ogni sforzo dovrebbe essere indirizzato per sostenere e favorire il dialogo e la trattativa per arrivare prima di tutto a una tregua, che fermi l’uso delle armi e poi ad un accordo di pace. Un compromesso, tra le parti in campo.
Amos Oz, il grande scrittore israeliano, purtroppo scomparso, pacifista e uomo del dialogo, scriveva:  “Cosa è l’opposto del fanatismo? Il compromesso. Nel mio mondo, la parola compromesso è sinonimo di vita. E dove c’è vita ci sono compromessi. Il contrario di compromesso non è integrità e nemmeno idealismo e nemmeno determinazione o devozione. Il contrario di compromesso è fanatismo, morte”.

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Mi sembra che vi sia una preoccupante narrazione, da parte della gran parte dei media, giornali e TV, a favore della guerra, della intransigenza tra le parti. Nelle loro calde e accoglienti redazioni, scrivono bellicosi proclami, con l’elmetto in testa. Sperano che la guerra si prolunghi di settimane, di mesi, con l’auspicio che questo porti ad un collasso della Russia, ad una rivolta contro Putin. Ma intanto quelli che muoiono sui campi di battaglia, nelle città assediare dalle truppe russe, sono gli ucraini, uomini, donne, bambini, considerati come carne da macello, per strategie geopolitiche.

La guerra va invece fermata il primo possibile.

Non sopporto più, per questo, i paladini che parteggiano per una parte o l’altra. I guerrafondai da salotto. Penso a coloro che lanciano proclami contro la guerra della Nato, immaginandosi Putin, come un novello condottiero, liberatore dei popoli. Quel Putin che, per lungo tempo ha sostenuto e finanziato movimenti sovranisti e reazionari in vari Paesi, tra cui l’Italia, con i rapporti con la Lega o in Francia con Le Pen. E come non ricordare, la grande ” amicizia” e le vacanze passate insieme con Berlusconi. O i rapporti con Trump.
Perché, in alcune frange minoritarie della sinistra, scatta sempre una sorte di riflesso condizionato, per cui gli avversari dell’Occidente, degli Stati Uniti, della Nato, diventano, a prescindere, quelli per cui parteggiare? Anche quando sono satrapi, dittatori, repressori della libertà e delle istanza democratiche nei loro paesi

E non sopporto più, i paladini ad oltranza della Nato, degli Stati Uniti, coloro che vaneggiano di esportare la democrazia con le armi. E pensano non tanto a Putin ma a mortificare l’intero popolo russo (Aveva più lungimiranza un dittatore come Stalin, che di fronte a chi prospettava un atteggiamento implacabile, contro la Germania, a seguito degli oltre 20 milioni di sovietici morti nel conflitto mondiale, affermò “gli Hitler passano il popolo tedesco resta”. Anche Putin passerà, ma rimarranno la Russia e il suo popolo). Torna alla mente la famosa “pistola fumante” della scoperta delle armi chimiche di Saddam Hussein, per giustificare la guerra contro l’Irak. Poi scoprimmo che era stata solo una menzogna per dare avvio alla guerra e quelle armi chimiche esistevano solo nelle menti fertili dei propagandisti della guerra. Quante migliaia di morti innocenti per quella guerra? E soprattutto quella area del mondo, dopo la guerra è diventata ancora più insicura, grazie alla conseguente radicalizzazione di alcuni movimenti islamici, che hanno trovato terreno fertile su cui fare proseliti grazie agli “errori” dell’Occidente.

Paladini di una parte o l’altra in guerra, tutti carichi di certezze, di integralismo. E mentre fanno i leoni da tastiera, attribuendo colpe e meriti, la gente intanto continua a morire. Sembra quasi che questo non importi, che sia secondario, rispetto alle loro granitiche certezze. Io invece avverto come sola certezza, quella che bisognerebbe salvare vite umane, impedire il massacro.

Penso che sia un grave errore, quello compiuto dal Parlamento italiano di votare, purtroppo a stragrande maggioranza, un ordine del giorno, per aumentare le spese militari, portandole al 2% del PIL del nostro Paese. Tra l’altro, in questi ultimi anni, sono già aumentate significativamente le spese militari.
Leggo, che alcuni, quasi per minimizzare, sostengono che il voto di un ordine del giorno in Parlamento, non comporta poi un automatico aumento delle risorse da destinare alle spese militari. Io invece ritengo che sia un fatto estremamente grave. Come segnale politico, prima di tutto. Nel momento in cui prevale il frastuono delle armi e in cui bisognerebbe fare prevalere la ricerca del dialogo, della trattativa per arrivare alla pace, una scelta del genere contribuisce a fare crescere la spirale bellica, a lanciare un messaggio sbagliato e pericoloso nell’opinione pubblica.

Ed inoltre, in questa scelta, vedo anche una miopia, purtroppo di quasi tutto il Parlamento, salvo poche lodevoli eccezioni. C’è un Paese prostrato da due lunghi anni di pandemia, sono cresciute vecchie e nuove forme di povertà, aumenta drammaticamente il numero di famiglie che non riescono ad arrivare a fine mese, angoscianti sono i numeri che indicano il numero di minori che vivono sotto la soglia di povertà, ed il messaggio che arriva dal Parlamento è quello di chiedere di aumentare le spese militari? Sono più importanti delle spese per la scuola, la sanità, il welfare, la ricerca scientifica, che sono sempre tagliate?
Tra le vittime del conflitto tra Russia ed Ucraina, vi è l’Europa, per l’incapacità di giocare un ruolo autorevole per favorire la trattativa e arrivare ad un cessate il fuoco.

Eppure la guerra si combatte sul suolo europeo, e saranno i paesi europei che poi si troveranno a reggere e gestire i milioni di profughi, a pagare i prezzi delle sanzioni. L’America è lontana, dall’altra parte della luna, recitava una canzone. Noi no. Ma non esistono statisti, personaggi politici che hanno l’autorevolezza di spendersi per arrivare alla Pace. Non ci sono più un Olof Palme, un Willy Brandt, un Mitterrand, ma nemmeno una Merkel. Sembrano tutti nani sulle spalle di giganti. E intanto in Ucraina si continua a combattere, a morire….

Tra tanti articoli che sembrano veline, bollettini di guerra, ma in cui poi gli effetti tragici della guerra svaniscono, nei giorni scorsi ho letto un bell’articolo di Paolo Rumiz. Scrive Rumiz, uomo di frontiera e di viaggi tra popoli e culture, “dalla mia casa di campagna vedo passare gli ucraini in fuga che accogliamo a braccia aperte e, a poca distanza, nei boschi, i poveri cristi da Siria e Afghanistan che nessuno vuole. Nella corrente alternata della solidarietà, i secondi non sono più di moda. Peggio: aiutarli è ancora un crimine, secondo la legge Salvini che il nuovo governo non ha mai abrogato. I loro paesi li abbiamo bombardati anche noi, ma puniamo egualmente questi migranti con un’avversità razziale che non ci rende così diversi da polacchi e ungheresi. Li lasciamo morire di gelo sulla frontiera bielorussa o marcire nei gulag turchi, greci, bulgari. Cinque milioni di profughi che non vogliamo vedere perché non sono biondi e non hanno gli occhi chiari. La mia frontiera è un sismografo che registra ogni scossa anche a migliaia di chilometri. Da quando sono nato, non ho fatto che vedere genti in fuga da guerre, pulizie etniche o carestie. Istriani, dalmati, dissidenti jugoslavi, curdi, bosniaci, iracheni, afghani, siriani e ogni genere di popoli africani. Una processione dolente, interminabile, che continua ad arrivare da Est o da Sudest per confluire nello stesso punto. Una sola cosa non avevo mai visto: che su questa linea ci fosse chi ha diritto alla vita e chi può anche crepare. Tu si, tu no. Due file, come ad Auschwitz. Difficile dormirci sopra…”. Amare ma vere le considerazioni di Rumiz.

Ecco, allora che tornano con urgenza e con forza, le ragioni della Pace, per porre fine al conflitto in Ucraina, e definire un accordo tra le parti in guerra, dove ognuna riconosca l’ altra e ceda qualcosa. Il compromesso di Amos Oz, appunto.

E raggiunta la pace in Ucraina, tornare ad alzare lo sguardo sui troppi conflitti dimenticati, lo Yemen ( di cui nessuno parla ma dove le stragi sono all’ ordine del giorno), le guerre nel continente africano. E poi la ricostruzione di Siria, Irak, Libia, per togliere acqua ai fondamentalisti che vi trovano terreno fertile, per ridare un futuro degno, a quei popoli. E la Palestina, perché senza ” due popoli due stati”, non vi sarà giustizia per il popolo palestinese e nemmeno sicurezza per gli israeliani. E perché quel conflitto funge da polveriera per tutto il Medio Oriente ed il mondo arabo.

Il frastuono delle armi sovrasta tutto. Non sono bei giorni, le speranze di fermare la guerra sembrano ridotte ad un lumicino. Eppure bisogna continuare a tenere viva la speranza, a tessere il filo, a costruire solidarietà, scelte di pace. Dare voce a chi caparbiamente si batte contro la guerra, dal mondo cattolico e laico, da una sinistra diffusa anche se spersa in mille rivoli.

E cogliere i segnali positivi. Ogni giorno, girando per Viareggio (ma vale anche per le altre città) si nota che aumenta il numero delle abitazioni dove è esposta la bandiera della Pace. Senza nessuna indicazione, da parte di forze politiche o associazioni, tanta gente comune, sceglie di fare vedere da che parte sta. Dalla parte della pace. Piccoli gesti, simbolici ma significativi. E poi la solidarietà verso le vittime della guerra, le raccolte di cibo e vestiario, l’accoglienza dei profughi. Una solidarietà diffusa. E poi chi cura, assiste o salva i migranti che invece che dal suolo europeo, arrivano su carrette del mare attraversando il Mediterraneo…
C’ è una bella Italia, che quando serve sa sempre farsi trovare pronta ….

Manca la politica… quella politica capace di “pensieri lunghi”, di avere la capacità di pensare che un giorno, per fortuna, la guerra finirà, e bisognerà ricostruire, non solo le città distrutte, ma anche dare prospettive, disegnare un futuro migliore.

Nel pieno della tragedia della seconda guerra mondiale, mentre le armate naziste sembravano inarrestabili, a Ventotene, un gruppo di intellettuali antifascisti, al confino, delinearono e scrissero in un Manifesto, il futuro di una Europa libera e democratica, senza più guerre. Non erano dei visionari, avevano una visione. Sapevano guardare più lontano, rispetto a coloro che in quel momento sembravano i vincitori…. Chissà, forse anche in questo periodo oscuro, ci sarà chi avrà le capacità, l’intelligenza, la visione per delineare e poi contribuire a costruire un’Europa ed un mondo migliore rispetto a quello che oggi conosciamo…

Alessandro Cerrai

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